Un disco sfortunato oltre che un piccolo mistero nella storia dell’elettronica.
Era il 1998 quando la General Production Recordings, una delle label più influenti per il panorama elettronico inglese ed europeo, decide di chiudere i battenti, finiva così la storia di un colosso capace di portare alla ribalta nomi del calibro di The Black Dog, Beaumont Hannant, Germ, Luke Slater e molti altri ancora, trascinando nell’amara conclusione due interessantissimi sottoprodotti come la Input Neuron Musique che ci ha regalato le cose più belle del genio di Russ Gabriel e la poco conosciuta Freedag Nuveaux, nella quale trova spazio la storia che stiamo raccontando.
C’erano quattro amici, quattro musicisti, tutti sconosciuti ma con un passato comune che percorre le strade della Radioactive Lamb records, un lampo nella discografia inglese che copre, con uscite centellinate, un arco temporale che partendo dal 1990 arriva al 1995 ed evolve da primitivi beats spezzati ereditati dal passato rave inglese in una sorta di suono più impegnato riscontrabile in un disco come Linari Mariot, uno degli ultimi pubblicati dalla label.
Passano tre anni di buio assoluto, poi, nel 1998 quel che era il nome di un’etichetta discografica diventa un supergruppo che si presenta con un album a dir poco stellare come “The Memoirs Of Reverend Cowhead & Sheriff Lamb Boy”.
Problema numero uno: la malasorte, l’album deve andare in stampa proprio nel momento in cui la GPR decide di chiudere, vengono così stampate soltanto venti copie che fecero la felicità degli altrettanti possessori per sette lunghi anni durante i quali tutti, GPR compresa, erano incerti se tenere un segreto così grande o liberarlo di nuovo al mondo con una distribuzione che fosse all’altezza del caso. Fortunatamente si decise per la seconda opzione e quindi nell’agosto del 2005, etichettato General Production Recordings questo gioiello è tornato a vedere la luce.
Cosa c’era di così spiazzante? Una visione totale dell’universo elettronico, una maturità compositiva che poteva far spavento a gente come Plaid o The Black Dog, una capacità di osare naturalmente più spinta vista la poca notorietà ed un senso di completezza che chiudeva il cerchio intorno a quella visione inglese che vuoi o non vuoi ruotava sempre intorno ad alcuni canoni identificativi a volte troppo ostentati.
Ascoltare i Radioactive Lamb significa fare il giro del mondo, a partire dalla solita Detroit tirata in ballo nel grandioso brano d’apertura Bellevedere, un vero e proprio tributo alla Motor City diviso tra 808 e basso e completato con un descrittivo synth analogico a suggellare l’istinto soul dell’intero progetto.
A seguire, la cinematica acidula di Heart Of The Flame, che a passi felpati ci conduce attraverso un mondo ovattato dove ad uscir fuori è soltanto il bassline ed il piano elettrico. Un brano bellissimo, di quelli che rendono speciale ogni momento.
I’ll Be All Yours è un fiorire di pianoforte e xilofono con un’andatura jazz abilmente orchestrata anche grazie alle soluzioni percussive di Paul Cutler, membro del gruppo ed abilissimo polistrumentista. Un brano che sposta inevitabilmente lo sguardo verso le lontane suonate di New Orleans, con rispetto e senza presunzione alcuna.
Crystal Hour è un fiore tecnologico diviso tra ritmica complessa ed accecante melodia in odor di ambient music. Un grande brano che mette in evidenza la capacità fuori dal comune di unire ritmo e melodia senza esasperarne la resa.
Jubahl è forse il brano più bello del disco, una profonda ed ispirata composizione che inizia in uno scoppiettio di batteria elettronica e pads il tutto avvolto dall’oscurità, poi man mano l’ingresso di piccole gemme sonore acidule a brillare nella notte, un suono limpido, splendente e quanto mai rilassante.
Secret Light è di nuovo techno in una importante reinterpretazione tra anima soul detroitiana e stravaganze ritmiche più tipicamente inglesi.
Alø 2 è di nuovo techno con una matrice fredda di tedesca provenienza, un vortice pronto a distruggere piste e menti con una potenza ed un traino del quale ormai abbiamo perso ogni traccia.
My Call è potenza dei synth allo stato puro, meraviglia melodica che fa l’occhiolino alle produzioni Metamatics e a tutto quel filone synth/soul in chiave electro che è forse la cosa più bella della musica tutta.
Lamb Boy è puro folk elettronico, un brano dance in commistione d’armonica arrampicato in una sorta di swing/house in chiave acid che farà la felicità delle menti più eclettiche.
Jenaquor irrora il mondo di ambient techno ispirata e piena di intuizioni compositive fresche e coinvolgenti che vanno dall’uso del flauto ai riff di piano.
Low Rider saluta gli amanti del break beat con un giro di basso capace di ribaltare anche gli stomaci più asettici.
E’ uno degli album più importanti dell’elettronica inglese, è uno dei dischi più ispirati di sempre.
E’ lecito quindi chiedersi dove siano finiti i Radioactive Lamb?