C’è un club nella testa di Oscar Powell, aperto 24 ore e che non chiude mai.
Forse lo ha immaginato per diversi anni prima di riuscire a scolpirlo così fedelmente, ed ora che la sua visione si è distinta tra l’operato più che eccelso alla guida della sua Diagonal e come un sempre più maturo produttore, il londinese decide di compilare i suoi (quasi tutti) introvabili 12” del triennio 2011/2014 in un doppio CD.
I primi passi nell’EBM scheletrico dell’esordio The Ongoing Significance Of Steel and Flesh e del seguente Body Music (entrambi 2011) furono al tempo interpretati come decisi statement nel genere: tra campionamenti in odore di no wave newyorkese e minimalismo post punk, fu semplice (ma riduttivo) collegarlo a tutto uno scenario (industrial o electronicbodymusic che dir si voglia) poi gentilmente scansato dal nostro, che con l’esperienza acquisita nei suoi frenetici djset tornava infatti sempre più spesso sulle passioni adolescenziali per drum&bass e techno, facendole colloquiare con bordate di Mego-style-noise e rock psichedelico, cosa che influenzerà anche il percorso della sua etichetta visti gli innesti di Shit & Shine, Bronze Teeth, Prostitutes e Skull Defekts su Diagonal.
Quel che appare evidente nei 18 brani inclusi nella raccolta è innanzitutto una crescita mostruosa nel vocabolario e nell’arrangiamento compiuta recentemente da Powell: ne sono specchio tracce come So We Went Electric oppure la collaborazione haswelliana di Maniac dall’ultimo “Club Music”. Nell’infinita combinazione di samples no wave e speech rubati si infrangono su muri di synth cacofonici e roboanti schegge techno: la sua musica è ora qualcosa di più vicino ad un Frankenstein mutante che ad un punk in sbronza.
E per chi scrive, un cambio (quello del feel nei brani, più diretti alla pista che ad una paranoia corporea) che arriva dritto da quella Oh No, New York, spartiacque edito a fine 2012 dalla Death Of Rave, che si componeva in maniera sublime dei due principali elementi vincenti del londinese: ironia e potenza.
Si perché se c’è qualcosa che rende unica la stessa Diagonal e chi ne compone il roster (la sua testa, in primis) è proprio questo distacco dal (serio) machismo perseverante in campo techno e noise, troppo spesso carico di contenuti ormai triti e paradossali (vedi l’uso di immaginari falso-politicanti o di matrice (soft)porno, per non citare le ormai infinite volte in cui abbiamo letto le parole violenza o apocalisse nelle press release di innocui tools techno…).
E nonostante questo, la musica di Powell si collega indistintamente al sarcasmo bleak di Blackest Ever Black e alla sagace funzionalità hardware di labels come L.I.E.S. o The Trilogy Tapes, senza dimenticare le radici instaurate dagli albori con Karl O’Connor (figura quest’ultima mai troppo incensata per il suo lavoro di scouting e produzione). Ed è di questi giorni l’esordio su XL con “Sylvester Stallone”.
Quindi, sarà anche humour inglese, ma per ora vince lui.