Neve, pioggia e venti flagellano la gelida Svezia da quando l’uomo ha memoria del nord del mondo. Ampie porzioni di territori sono destinati a ghiacciarsi nel buio di lunghe notti. Foreste imponenti si riscoprono verdi solo al mutare delle stagioni. Condizioni climatiche e naturali che favoriscono un profluvio di riflessioni interiori, derivanti dalla condizione di inevitabile isolazionismo propria degli abitanti di una penisola che, musicalmente, continua a non essere avara di spunti di pregevole fattura, specie se rilasciati da un duo di musicisti la cui crescita è in continuo divenire.
Nell’arco di un solo biennio, il progetto dark ambient D.A.R.F.D.H.S., acronimo di Dard Å Ranj Från Det Hebbershålska Samfundet, ha ripetutamente esplicitato un intenso rapporto con le proprie radici attraverso la propagazione di atmosfere plumbee e, soprattutto, ricorrendo a tracce legate a doppio filo con leggende, miti e tradizioni dell’antichità scandinava. Un complesso background reso ancora più affascinante, enigmatico e intimista da alcune precise scelte stilistiche di Michael Isorinne e Jonas Rönnberg, meglio noto come Varg, prolifici produttori in stato di grazia.
La loro discografia sembra sia non conoscere sosta, che testimoniare una ricerca sonora in atto e in potenza. Dapprima gli esperimenti su cassetta per Funeral Fog Records, Bëlaten e Opal Tapes, poi lavori più corposi: il precedente “Det Stora Oväsendet” (2014) su Clan Destine Records e gli attuali “In The Wake Of The Dark Earth” (2015) e “Mörkret, Kylan, Tystnaden & Ensamheten” (2015), pubblicati a marzo e aprile per conto di Field Records e Northern Electronics, etichetta che aveva già dato alle stampe il concept “1520” (2014) degli Ulwhednar, una compagine formata da Varg e Abdullah Rashim.
Registrato dal vivo, l’immaginario di “Det Stora Oväsendet”, praticamente un concept album, traeva spunti dalla locale caccia alle streghe del XVII secolo, alternando furiosi bordoni a rigurgiti minimal e accelerate techno. Dodici mesi dopo la pubblicazione del loro interessante esordio su vinile, i due instancabili svedesi sono ripartiti con forza da alcune cupe suggestioni ambient, ricodificate nel più maturo “In The Wake Of The Dark Earth”, un intenso viaggio tra droni e impervie località. Dodici ipnotiche sinfonie tratte da storie per lo più ignote sulle rigogliose sponde bagnate dal mar Mediterraneo.
“L’album non è stato concepito per caso, perché abbiamo accolto con piacere la proposta della Field Records”, spiega Michael Isorinne. “Tutto è stato registrato nuovamente dal vivo e in un paio di giorni di sessioni, senza particolari attenzioni circa la stesura dei brani. Abbiamo solo provato a scriverne alcuni contorni tra una pausa caffé e l’altra, prima di andare avanti. Il tema portante, poi, è stato pensato dopo aver suonato le prime tracce. Era un sound che parlava da solo. Dopodiché, conclude il musicista, abbiamo dedicati altri due giorni per mettere a punto titoli e artwork”.
La peste del nord (When Ansgar, Plague Of The North Arrived At The Gates Of Birka), offerte propiziatorie agli dei norreni (Offerings To Njord), il condottiero vichingo Rurik (Ruriks Holmgrad) e scambi commerciali con l’Impero Romano d’Oriente (Byzantium Traders Sailing Over The Edge Of The World) sono alcuni dei temi di un album dai toni kraut decadenti, dai battiti lungamente dilatati in White Sea / Black Sea e dai tratti contemplativi tra Drowned In Lake Ladoga e Down The River Volchov, con escursioni persino glitch come in Slave Merchants In Aldeigjubdorg. Estasi del ghiaccio.