Provo a mettermi nei panni di un ipotetico artista o di un label owner che ogni mese vede un uscita L.I.E.S. compiere, in barba all’underground di cui finge ancora di sentirsi parte, il (quasi) solito successo di vendite e di esposizione.
E il fatto che quella volpe di Ron Morelli riesca a fare sempre tutto con il minimo sforzo probabilmente infastidisce pure, quindi non nascondetevi haters, parzialmente posso capire il vostro astio.
Ora però temo di dovervi dare un’altra brutta notizia: il debutto di 45 ACP, producer parigino già idolatrato per le sue fatiche a nome D.K. su Antinote, funziona alla grande.
E vi dico anche che se ne uscirà da questa recensione con il massimo dei voti, un 10 su 10.
Ah, ipotetico artista o label owner che mi stai dando della vittima dell’hype e di pura suggestione estiva, ora proverò comunque a darti qualche veloce motivo per cambiare idea.
Anche se forse basterebbe guardare il videoclip, stupendo, di “Ground To Ground” che tanto è paraculo tanto è un sunto di questi primi 5 anni di L.I.E.S., sia dal punto di visto musicale che di immaginario; perchè se i più scettici diranno “solita jam” con l’invidia di cui sopra, io rispondo “solita jam” con l’entusiasmo di chi a volte non ha bisogno di sentire altro, soprattutto d’estate.
E tutto questo è solo una piccola porzione di un lavoro che porta su di se tutta l’esperienza Antinote, accantonandone il piglio sfacciatamente cheesy e melodico e riportando al centro quel motore ghetto in slow motion che altri nuovi artisti come Huerco S., Patricia e Terekke hanno recentemente collegato a strutture house classiche con risultati a dir poco notevoli.
Anche “7th Circle” e “Double Cross” potrebbero passare inosservate altrove, eppure qui la loro staticità le rende perfette sia nelle vesti di “tools” che nell’economia da long playing.
E “Hidden Garden” che integra una componente esotica facendo l’occhiolino alla platea parigina, non fa altro che rafforzare una coerenza artistica che il francese Dangkhoa Chau continuerà a sfruttare al massimo, c’è da scommetterci.
Infine, smettiamo di portare rancore verso un etichetta solo perchè trova esposizione e successo, quando ad oggi tante, tantissime delle etichette DIY o “indie” (anche di casa nostra) girano con un’agenzia di promozione. Che probabilmente lavora male.
Ci sono etichette che fanno feste, etichette che fanno cassette di materiale inutile o che sono brave o fare belle copertine, o che comunque fanno tutto fuorchè curare la loro stessa discografia, nonchè il controllo sulla qualità e la loro distribuzione.
Ron Morelli lo fa, e ci riesce piuttosto bene, molto spesso: trovare i passaggi sulle radio, avere una distribuzione seria con degli ottimi prezzi, una dialettica trasversale (vedi come si destreggia bene tra piattaforme industrial come Hospital Productions e piattaforme commerciali).Tutto questo fa parte di un mestiere ormai destinato a pochi, pochissimi furbi visionari.
Change Of Tone è un disco che non se ne fa colpe e anzi guadagna punti proprio in virtù di tutto questo. In molti la fuori dovrebbero prenderne atto.