Droga, noia e suicidi a pochi chilometri dal Circolo Polare Artico. È il tragico affresco della Svezia più irraggiungibile e fredda, lì dov’è cresciuto Jonas Rönnberg, meglio conosciuto come Varg, affermatosi ormai come uno dei più prolifici produttori contemporanei provenienti dal nord dell’Europa. “Ursviken” (2015), dal nome dell’omonima cittadina di quattromila anime che gli ha dato i natali, è il sesto lavoro firmato in pochi mesi dallo svedese, che sembra non conoscere sosta nella sua attività compositiva.
Dall’inizio dell’anno, Varg ha già rilasciato quattro album a nome D.Å.R.F.D.H.S., sempre in coppia con il fido Michel Isorinne, e uno come Född Död, affiancando in studio il misterioso SARS, artista presente all’interno del nutrito catalogo Northern Electronics con la cassetta “Письмо” (2014). Il tratto comune di tali opere continua a essere la notevole capacità compositiva di Varg, manifestata attraverso il suo tocco atmosferico tra ambient e downbeat, echi glaciali e improvvise aperture techno.
La scelta di ricorrere a diversi alias, per puntellare collaborazioni e progetti vari, può apparire confusa, specie se a fronte della scarna comunicazione scarna del riservato svedese, poco interessato al chiacchiericcio dei social. Ogni sua produzione necessita di un approfondimento ulteriore, quasi decontestualizzato rispetto l’ascolto vero e proprio, perché le copertine astratte e i criptici nomi delle tracce veicolano in realtà abbastanza del suo vissuto tra passato e presente, oltre che alcune sue sensazioni.
Melodie e neve, drone e tenebre. L’introspezione sonora di Varg è una matrice complessa. Un clima di tensione giace in ogni singolo accordo. In alcune tracce si percepisce anche un senso di una qualche calamità forse incombente. Ansia e claustrofobia gli stati d’animo ricorrenti di un doppio vinile dalle tonalità noir, con frammenti di storie ambientate su terre ricoperte da ghiacci. La musica dello svedese stupisce così nell’atto di evocare ripetutamente le più anime inquiete che la popolano.
Il sibilo del vento e lo scorrere dell’acqua costituiscono l’incipit naturale di “Ursviken”. I dieci minuti della titletrack ne segnano l’umore generale. All’accennata struttura di field recording sovrapposti si aggiungono presto tastiere e percussioni. L’andamento è cadenzato, con feedback e rumori di fondo, intriso di malinconia, dominato da spettri. Sempre sul lato A, la lenta sinfonia di sintetizzatori identifica in Skaeliptom il perfetto seguito di un percorso dove non filtra mai alcun bagliore di luce.
Sul lato B, nonostante la scarna struttura, Asocial 46 appare più vibrante, ma è la più robusta Vitbergert a far riscaldare la puntina del giradischi per oltre sei minuti. Con Jámikasuolu, Varg affonda invece nelle sue radici più romantiche. Dagli assoli di tastiere alle nuove sferzate di vento di Scharins Söner sul lato C. Inquietudini e battiti primordiali percuotono gli uomini e la terra. E, all’improvviso, esplodono le pulsioni di Raggarsvin: una traccia fuori dal contesto del concept dalle tinte nordico, ideale per il dancefloor.
Se il ritmo di Guldstaten appare collocabile a metà strada tra le due precedenti e differenti tracce, l’alternanza alchemica si ripete poco dopo. Öhn e Sekvens För En By Utan Hopp si pongono come sognanti e struggenti divagazioni drone sul lato D, mentre Agngatan 24 ne è la scheggia quasi impazzita. Nel complesso, la notturna opera di Varg è da promuovere a pieni voti. Idem la sua operosità, da altrettanti applausi, con il rischio però di incappare in una sovraesposizione che potrebbe non giovare alla sua fenomenale carriera.