Conosciuto soprattutto per essere un terzo degli Emeralds insieme a John Elliott e Mark McGuire, Steve Hauschildt ha saputo ritagliarsi un importante parentesi solista mettendo insieme una solida discografia che dopo circa dieci anni pesa quanto e più di quella del blasonato progetto. E’ uno di quei compositori che punta tutto sull’estetica, disegnando traiettorie malinconiche imperniate su stesure lunghe e ripetitive. Se posso evidenziare il momento in cui ha trovato il suo suono definitivo, questo si chiama Tragedy & Geometry, album pubblicato per la splendida Kranky nel 2011 e focalizzato su un’elettronica dai toni acquatici che doveva molto agli esperimenti del tedesco Schultze e di tutta la Innovative Communication. Un disco fondamentale, nel quale il suono ambient, facendosi liquido riusciva a raggiungere profondità inesplorate in un contesto mai fine al solo sound design ma vicino il più possibile all’emotività.
Torna ancora su Kranky con questo Where All Is Fled, che segue il meno fortunato Sequitur e ritrova quell’ispirazione per così dire pura che riconduce il suo suono in una dimensione cosmica dai toni limpidi, qui maggiormente focalizzata sull’utilizzo del piano, oltre che del magico arpeggio dei sintetizzatori. La forza dell’album è proprio nella forma, Hauschildt riesce a coniugare melodia ed astrazione attraverso la ripetizione degli elementi, crea così un effetto trance con un contrappeso terreno dato dalla melodia.Ad eccezione del primo brano, Eyelids Gently Dreaming, che è un crescendo di pads dal tiro spettrale, il disco sembra fluttuare in un liquido amniotico già dal secondo didascalico brano Arpeggiare, e da lì è un viaggio totale nelle pieghe del cosmo, con quel moto arpeggiato costante che è tutto un ribollire d’emozioni, con quei suoni morbidi ed avvolgenti che nei loro cambi di tonalità riescono a mettere a punto delle sequenze strappa lacrime che riescono a fotografare con esattezza una serie di momenti ricchi di serena malinconia.
Le composizioni sono semplici, non ascolterete virtuosismi, piuttosto un minimalismo melodico a volte forzato ma sincero, come se lo stesso produttore volesse dirci che si, questo è quello che sa fare. Quel che conta è che lo fa bene, riuscendo a trovare una chiave per smuovere i sentimenti e regalarci un disco che nella sua capacità di saper comunicare in modo chiaro e diretto rischia di diventare un classico del genere.