Questa recensione è bene inizi con le parole dei protagonisti, che senza riserve hanno “vomitato” quanto è bene sapere su quello che senza dover troppo pompare è uno dei dischi italiani più interessanti dell’anno. Solaria, firmato dai The Mystic Jungle Tribe (ascolta il loro podcast esclusivo per Electronique.it).
“E’ successo una sera (esattamente un anno fa), ero andato (io Dario) a trovare i ragazzi in studio…Provammo una live session, niente di serio, giusto per ammazzare il tempo. Il giorno dopo ascoltai quello che registrammo, una sorta di funk elettronico molto elementare ed a tratti scriteriato, ma c’era del potenziale.
Proposi ai ragazzi di provare di nuovo, era un periodo nel quale avevamo già iniziato ad abbandonare i nostri progetti legati alla scena “club”, ed ascoltavamo quotidianamente molta library music, soprattutto italiana e francese, tremendamente affascinati dalle soluzioni sonore avveniristiche. Ovviamente ha inciso molto anche il nostro bagaglio da “dj” afrobeat, fusion, boogie, disco e jazz funk.
Solaria è nato proprio nel momento in cui abbiamo deciso di affrontare dei temi più maturi, personali ed intimi. Non è stato semplice, si trattava pur sempre di un approccio nuovo e complesso, soprattutto per chi come noi è un autodidatta, ma sincero e genuino.
Tutto ciò che si sente è stato suonato per davvero (le drums in alcuni casi sono dei campionamenti) senza ausilio di computer, daw sequencer, etc… Non è un concept lp, i temi sono variegati e non ci siamo risparmiati in nulla (ci sono ancora delle chiare reminiscenze house in “Plastica Razionale” e “Land of Dunes”) abbiamo usato tutte le strumentazioni di cui disponevamo all’epoca, partendo comunque da suoni abbastanza classici e poco editabili di un rack Roland (Xv 3080), i bassi elettronici Korg Dw 8000 o Yamaha Dx 21 (per quelli più creamy).
Ambienti e Atmosfere abbiamo utilizzato Poly 800, Poly 61 – leads e organi una CZ 1000 (che ha un certo sapore afro – un po’ cheap – come tradizione Casio). Drum machines – abbiamo usato in “Landing to Solaria una TR-707”, in “Ancient Lizard” una TR-606 mentre in “Ocean FM” le percussioni sono state realizzate direttamente sfruttando sintesi fm – il resto sono batterie acustiche campionate a 12 bit con S950 e Casio Rz1.”
La forza di Solaria è quella di risultare come il maturo album di uno di quei musicisti newyorkesi dei primi anni ’80, in quel preciso incrocio nel quale l’artiglieria orchestrale della disco music lasciava spazio alla sintesi, alle drum machine ed a quel tentativo di spedire il funk nello spazio che tra Prelude e Radar ha avuto esponenti micidiali. Non è tutto, perchè uno dei motivi che ci porta ad utilizzare il termine “maturo” è l’aver saputo trasporre tra le pieghe un fascino che definiremo cosmico, dovuto all’incidenza di stranianti divagazioni jazz-fusion realizzate suonando con perversione le tastiere elettriche ed arrangiando in maniera sublime le batterie elettroniche come nel caso di Landing To Solaria che appare in tutto e per tutto come un astronave jazz-funk in decollo libero verso lo spazio.
Viaggio che si scioglie in sperimentazioni liquid-funk già nel secondo brano Ocean FM, pezzo nel quale la concretezza lascia spazio all’improvvisazione in un contesto punteggiato di corde e gorgheggi sintetici che fanno profumare l’aria di spirito visionario e jazz astrale. Ancient Lizard aggiusta il ritmo verso un battito proto-house col basso acido a ruggire dal basso, uno di quei brani che se giocati bene in serata può spezzare un set di qualunque tipo regalando una sosta spazio-temporale da leggere alla parola classe, mentre nella successiva Neon Light mette in scena un obliquo melodiare in chiaroscuro con il basso a dettare tempi e toni.
Plastica Razionale è un fungo che sembra prender un po le distanze, è house music da leggere come tale ed affonda sulla cassa e su quel taglio minimale che è un po la caratteristica dell’intero album se vogliamo, ma qui vorrei non si confondesse il nobile significato del termine che mi permetto di applicare per rafforzare quanto detto dagli stessi produttori, ovvero quel fatto di essere degli autodidatti, che nel caso specifico hanno messo da parte successi che da queste parti non abbiamo mai idolatrato per avventurarsi in un percorso dove il rischio è la prima caratteristica ad emergere, e dove questo è però ampiamente supportato da idee solide, da una visione ed un background cristallini e da una sana voglia di lasciar alle spalle il passato per andar a lavorare sull’anima.
Un album al quale mi sento di attribuire un significato doppio, dapprima musicale, perchè i brani contenuti sono articolati, originali, potenti di quel potere al tempo stesso fisico e psichico e soprattutto riescono ad essere insieme fotografia del passato e premessa di grandi avventure.
In secondo luogo un grande messaggio a chi oggi troppo facilmente tende ad attribuirsi il termine producer conformandosi poi a quel che il più becero fabbisogno commerciale richiede; ed il messaggio dice chiaramente questo, ci si può spogliare, guardarsi nudi e tornare a vestirsi di abiti che siano lo specchio di ciò che avete dentro.
Direi una banalità consigliandovi di acquistarlo.