La mia ricerca trae origine dalla necessità di esplorare dimensioni interiori nel tentativo di creare percorsi interpretativi possibili. Mi sono divertito molto a lavorare con strumentazione elettronica vintage, così come a ricercare strumenti che potessero riproporre la memoria delle sonorità italiane degli anni Settanta, quali il Jen Electronics SX-1000 Synthetone. Ho proposto le tracce a Steve Pittis e a lui sono piaciute subito. Sono felice di far parte del roster di Dirter Promotions, visto che i nomi presenti sono stati tra i miei principali ispiratori.
Il baratro del vuoto e l’altro suo eco. L’indagine sonora di Pietro Riparbelli riparte da “Vacuum” (2015), pubblicato su Dirter Promotions, ultimo esperimento di una carriera già ricca di varie esperienze tra storia, filosofia, luoghi sacri, o funzionali per un preciso progetto, e alcuni semplicemente a lui cari. L’artista toscano, specie con i monicker K11 e PT-R, è stato in grado di esprimersi con profitto rivolgendo lo sguardo a orizzonti estremi, esplorando territori dark ambient, industrial e noise e collezionando esperienze in coppia con Philippe Petit, Yannick Frack e Claudio Rocchetti.
Ho trascorso un anno intero a lavorare su installazioni sonore, collegate al mio usuale lavoro sulla percezione in relazione ai luoghi, e a studiare le dinamiche della sperimentazione elettronica, dando alla luce tre lavori distinti – l’EP digitale “Stella Mattutina” (2014), la cassetta “Figura” (2015) e il 12” “Motore Primo” (2015) – con Michele Ferretti per il progetto Zone Démersale. Da questo connubio di esperienze, nasce la mia esigenza di comporre un nuovo lavoro, utilizzando linguaggi inediti rispetto quelli utilizzati finora.
Suoni, frequenze, vibrazioni. L’architettura minimalista di “Vacuum” è tutt’altro che fragile, perché sorretta da pulsioni analogiche e field recording manipolati. Sintetizzatori al servizio dell’eleganza. Rumori di fondo cristallini. Nonostante l’assenza di un preciso riferimento fisico o geografico, l’ipnosi è servita. Nel passaggio da un brano all’altro, i pensieri scorrono forse più veloci delle note stesse. Il merito è sopratutto dell’atmosfera sottesa. Eppure la soluzione ritmica non è mai la stessa. Oltre il concept specifico, si dipana così un mondo sotteso, di ombre impercettibili e riflessi statici.
Se l’indagine storica, filosofica e acustica di luoghi mi ha permesso di lavorare su diversi piani percettivi, grazie ai quali il prodotto finale assumeva differenti facce interpretative, “Vacuum” è nato dal mio avvicinamento a uno spazio mentale o, meglio, spirituale: è stato come immergersi in un’atmosfera prodotta dal vivere e poi trovare le formule per questa dimensione, per trasformarla in un percorso attraverso la composizione. Il mio intento era rendere il lavoro più diretto e con una chiave di lettura unica ma, al contempo, aperto all’interpretazione.
La versatilità del suono diviene tutt’uno con l’interiorità di Pietro Riparbelli. La sua incisività uditiva impreziosita dal master curato da Giuseppe Ielasi. Il connubio tra musica e immagini sublimato nella copertina firmata da Elena De Angeli. Ispirato anche da alcuni testi del mistico renano Meister Eckart, e soprattutto dalla sua riflessione sul vuoto, il produttore ha finito per spogliarsi di qualsiasi orpello di volontà additiva, rimuovendo tutto ciò che considerava come accidentale o inessenziale non solo sul piano compositivo. L’estasi del vuoto. Sobrio ai limiti dell’austero.
L’impianto principale della riflessione del teologo e religioso del Medioevo cristiano ruota attorno alla ricerca del ‘fondo dell’anima’ come la realtà più profonda dell’uomo, il ‘luogo’ ove si trova la sua essenza che è purissimo essere e, di conseguenza, nulla, abisso senza fondo che getta la possibilità di un percorrere continuo e circolare nel quale, mai si raggiunge una meta, ma si fa esperienza accogliendo ed interpretando sottili segni percepiti in lontananza; non costruendo alcunché ma cercando di rimuovere l’accidentale.
Sei tracce tra battiti, crepitii e lacerazioni. Senza Forma mette in scena un drone sottile come l’unico sussulto di una notte senza stelle. L’incipit alla meditazione di Primo Percorso si snoda, invece, tra passi nel vuoto e il soffiare del vento. A Distacco, assenza di gravità in cinque minuti, si contrappone Deserto Meraviglioso, pseudo-eterea manifestazione di oblio sonoro, tra micro-ritmi meccanici e violente percussioni sorde. Se Emanazione appare come avvolta in intervalli di mistero, Secondo Percorso rappresenta la conclusiva propaggine di fumo di un ottimo album concettuale.
L’ascolto e, di conseguenza, il suono possono essere presi come spunti per una attenta indagine fenomenologia che riguarda la percezione e i vari modi con cui l’essere umano percepisce il mondo in cui vive. Sono molto interessato allo studio di Pauline Oliveros e del ‘deep listening’ in generale, e penso sia necessario imparare a espandere la percezione dei suoni fino ad includere l’intero continuum spazio-tempo del suono stesso al fine di valorizzare la percezione uditiva, perché un ascolto profondo della realtà può essere un ponte verso stati di coscienza inesplorati.