Non c’è tre senza quattro. E una regola ben precisa da rispettare: mai scindere la disco dalla psichedelia. L’obiettivo della Private Records, gestita da Janis Nowacki, non è solo stupire, ma superarsi ogni volta. Con il sorriso sulle labbra. Magari in preda a qualche ancheggiamento in più. Un risultato possibile con “Let’s Go Into Space IV” (2015), quarto episodio di una serie di fortunate compilation.
Release dopo release, è proseguita la riscoperta di un passato tanto notturno quanto scintillante, prestando sempre la massima attenzione al dettaglio grafico e, addirittura, anticipando future mosse dell’etichetta come, ad esempio, la pubblicazione di tracce di Enterprise, cioè Josep Llobell, Zenamon e Frederic Mirage in “Lets Go Into Space II” (2013) o di Sergio Ferraresi in “Lets Go Into Space III” (2014).
Senza dimenticare che nella prima, pioneristica, “Lets Go Into Space…” (2012) giaceva anche un brano dei dimenticati Schaltkreis Wassermann, duo synth-pop teutonico in odor di minimalismo, prossimo a consegnare a Janis Nowacki e ai posteri un nuovo, seppur vecchio, lavoro, cioè la raccolta “SKW” (2016), contenente il meglio della loro produzioni realizzate all’alba degli anni Ottanta.
Come da copione, Schaltrkeis Wassermann presenti, ovviamente, anche in “Lets Go Into Space IV” con Space Symphony, traccia di chiusura del lato B, melodica downtempo dal lento incedere, a tratti sognante, una sorta di duetto tra batteria elettrica e tastiere in primo piano. Sono gli strumenti tradizionali a fornire sangue al cuore pulsante della compilation. Quelli elettronici una piacevole aggiunta.
Un’alchimia destinata a fare faville nel corso di un decennio di plastica. Gli altri sette brani, a cominciare da World X di Angella Dean sul lato A, ne sono imbevuti. Quest’ultimo, bestseller oltralpe, è stato prodotto da Mike Logan e scritto da Detto Mariano, già autore della superlativa colonna sonora de “Il Giustiziere Della Strada” (2015), e offre un concentrato di bolle ritmiche iscritte in vortici spaziali.
Segue Blue Nights In Granada dei Carl Barok, primo disco firmato da Dieter Kolb e Frithjof Krepp, destinati entrambi a condividere l’esperienza nella band krautrock Supersemppfft. Si passa rapidamente da un groove all’altro e, con Club Lido dei Pan’s People, la temperatura si alza. Il barometro del mood segna uno status di contagiosa happiness. Un cliché delle produzioni di Bob Mitchell, poi collaboratore di Cerrone.
Interessante l’esperimento Butterfly Dance di Disco Connection, tra giochi di prestigio funk e gorgheggi cosmici, a cura di Dieter Bührig. Un autentico esempio di one-shot-disco, poiché il tedesco ha da tempo voltato pagina, dedicandosi alla scrittura di romanzi. Dopodiché, un altro pezzetto di Italia, con Burn The Witch di Love Spirit, scritta da Giorgio Sgarbi e scandita dalla seducente voce di Gisela Sgarbi.
Dai violini a bassi il passo è breve. L’inspirata King Kong (Instrumental) griffata The Primates è un’altra rarità estratta ad hoc, che riserva virtuosismi progressive rock a metà traccia. Infine, la più pop My Blue Bird dei Rendez-Vous a sparigliare i giochi con un’alternanza di sali e scendi, da apprezzare, così come i precedenti brani, su vinile tanto limitato quanto colorato. Una prerogativa imprescindibile.