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I paesaggi innevati della frontiera a stelle e strisce. La solitudine di un uomo abbandonato da tutti. E una colonna sonora brulla, lenta e meditabonda. “The Revenant” (2015) è più che un film. Il capolavoro del regista Alejandro González Iñárritu racconta l’epica avventura dell’esploratore Hugh Glass tra indicibili sofferenze e incrollabili volontà. Un viaggio lungo centinaia di chilometri, dal fiume Missouri a Fort Kiowa, nel South Dakota, segnato dalla presenza scenica di Leonardo Di Caprio e scandito dalle note di Ryūichi Sakamoto, Alva Noto e Bryce Dessner.
“The Revenant”, candidato a ben dodici premi Oscar, è liberamente ispirato all’omonimo romanzo (2003) di Michael Punke, tratto da una storia vera, quella di un trapper sopravvissuto all’attacco di un grizzly e lasciato solo dai propri compagni, cacciatori di pelli invisi agli indiani Arikara, ma capace sopravvivere al rigido inverno nel selvaggio West privo di armi e viveri. La forza del personaggio di Hugh Glass è nel suo spirito indomito, in grado di sopportare anche la perdita del figlio Hawk e il continuo ricordo della moglie deceduta durante una razzia al suo villaggio.
Nulla può distoglierlo dal suo desiderio di vendicare l’assassino del suo Hawk, un mezzosangue Pawnee, per mano di John Fitzgerald, interpretato da Tom Hardy, già Bane in “Il Cavaliero Oscuro – Il Ritorno” (2012), ultimo capitolo della trilogia di Christopher Nolan. Hugh Glass, rimasto gravemente ferito dallo scontro con l’orso, è costretto a interrompere la spedizione in Nord Dakota. Il suo corpo è affidato a tre uomini, pronti a seppellirlo nei boschi qualora la situazione precipiti. Una circostanza che prevede una lauta ricompensa da parte del capitano dei cacciatori di pelli.
Dopo aver istigato l’esploratore al suicidio, John Fitzgerald, spregiudicato e insofferente, tenta di soffocarlo e, poi, accoltella Hawk nascondendone il corpo al terzo uomo, Andrew Henry, costringendolo con la menzogna alla fuga dalla radura dove erano accampati. La prima parte di “The Revenant” termina qui. La seconda è un crescendo di emozioni autentiche. Perché Hugh Glass, constatato il decesso del figlio, recupera poco a poco le sue forze, si rimette in cammino seppur a carponi, sfida il gelo, si nutre di radici e scampa due volte agli spietati Arikara.
La vendetta nei confronti del fuggiasco John Fitzgerald, un vero e proprio corpo a corpo tra le nevi, occupa la terza e ultima parte della pellicola, una volta che Hugh Glass è riuscito a rimettere piede a Fort Kiowa tra lo stupore generale di chi lo credeva ormai cadavere. La performance di Leonardo Di Caprio, ai limiti del muto, è straordinaria e s’inserisce ad hoc nei grandi spazi della natura, tanto maligna quanto benigna, perennemente in bilico tra la neve perenne e il fuoco che scalda. Una visione manichea da sovrapporre al tradimento del prossimo e all’amore per i propri cari.
Fin dall’inizio, Alejandro González Iñárritu aveva intenzione di circondarsi di un sacco di strati sonori sia acustici che elettronici. Ed è stato naturale chiedere ad Alva Noto di darmi una mano. Alcune parti sono state elaborate separatamente, altre generate da un continuo scambio di file. Bryce Dessner ha invece registrato per conto proprio, ma ascoltava ciò che stavo facendo, quindi si è trattato di una specie di collaborazione indiretta. Sono stato davvero felice per aver avuto l’opportunità di collaborare con musicisti così talentuosi!
Il western iperrealista del cineasta messicano rinnova l’arte dello sfoggio, ma rompe con la tradizione, prediligendo un commento ai limiti dell’elettronica, opera di un vero ‘redivivo’, Ryūichi Sakamoto, con la partecipazione di Alva Noto, all’anagrafe Carsten Nicolai, e del chitarrista dei National, Bryce Dessner. Durante l’estate del 2014, il giapponese, premio Oscar per la colonna sonora del film “L’Ultimo Imperatore” (1988) di Bernardo Bertolucci, si era ritirato per curare un tumore alla faringe. Dodici mesi dopo è tornato in attività con uno dei suoi collaboratori storici.
Sono quattro gli album che l’esperto compositore del Sol Levante, con una trentina di ost realizzate per cinema e televisione, e il teutonico boss della Raster-Noton hanno firmato dall’alba del nuovo secolo a oggi. Lavori dai titoli ermetici – “Vrioon” (2002), “Insen” (2005), “utp_” (2008) e “Summvs” (2011) – che si sono contraddistinti in termini di astrazioni, atmosfere e avanguardie. Una sperimentazione da alto rating, o una vera tripla A in chiave glitch. Unire le forze per una colonna sonora, forse, un esito atteso da entrambi per fare un ulteriore passo in avanti.
Alejandro González Iñárritu aveva utilizzato due miei pezzi in “Babel” (2006). A quel tempo ci eravamo sentiti per telefono. Non l’avevo mai conosciuto, ma il modo in cui aveva usato la mia musica alla fine della pellicola era molto, molto bello. Dopodiché, lo scorso anno riceviamo all’improvviso una chiamata dal suo ufficio che era tipo “vieni a Los Angeles domani, ci serve uno strato di suoni”. Non ero proprio guarito, mi sentivo debole, ma lavorare con un simile regista ti può capitare una volta nella vita. Così ne ho parlato con il mio manager/compagna.
L’eco del vento e la durezza del gelo. Ronzii catartici della vastità insondabile della natura. La soundtrack di “The Revenant” è una esperienza d’ascolto impegnativa, propria di una sua forza intrinseca in grado di spingersi oltre le immagini struggenti, oltre la brutalità dell’azione, oltre i colpi di scena e, soprattutto, oltre gli immancabili field recording della pellicola stessa. La lentezza degli accordi e la dilatazione del suono punteggiano serenità a momenti e futuro incerto che, in scia a pochi cambiamenti tonali, può trasformarsi in calibrati esercizi di pura tensione.
Al di là dell’introspettiva The Revenant Main Theme, un’apertura cinematica, l’orecchio più attento non può non cogliere la padronanza di Ryūichi Sakamoto nel soundscaping, come nel caso delle sferraglianti inquietudini di Killing Hawk o dei rintocchi elegiaci di Goodybe To Hawk. Da una parte, i bordoni ambientali perfettamente incastrati in melodie aggraziate; dall’altra il ricorso agli strumenti a coda e, soprattutto, a corda per rimarcare il dramma in corso sul grande o piccolo schermo. È il caso dei più convenzionali brani The Revenant Theme 2 o Out Of Horse.
L’irrequietezza digitale di Carrying Glass, i tonfi in lontananza di First Dream, il crescendo emozionale di Discovering Buffalo, le sospensioni di Second Dream sono, invece, tra i migliori contributi derivanti dal continuo scambio di file tra il musicista nipponico e Alva Noto. Interessante il contributo solista di Bryce Dessner in Imagining Buffalo e Looking For Glass, due tracce spigolose, placide in superficie ma altrettanto energiche. I tre produttori firmano insieme soltanto la lunga e intesa Powaqa Rescue e Cat & Mouse, una frastagliata evasione armonica.
È il preludio alle stridule conseguenze dello scontro tra protagonista e antagonista, marcato dalle austere percussioni di Final Fight, quando alla desolazione del panorama si soprappone un sentore di morte. Gli elementi elettronici controbilanciano quelli acustici. Infine, con l’eterea The End, Ryūichi Sakamoto fissa l’ultimo limite verso l’orizzonte mozzafiato. La tenue luce del giorno sfuma lentamente alle spalle delle montagne. Le vallate coperte di neve sembrano tutti uguali: sono le macchie del sangue di John Fitzgerald a colorarle di rosso.
Credo che il personaggio principale di “The Revenant” sia la natura. Non si tratta soltanto delle immagini, ma dei suoni della natura stessa, tra cui il verso dell’orso. Per questo motivo, nell’ottica di rispettarli al meglio, ho ritenuto opportuno che la musica non avrebbe dovuto essere troppo narrativa. Ho perciò voluto che la mia colonna sonora fosse nient’altro che una parte del suono di tale natura. L’intento principale era sollecitare un’alternanza con le emozioni dei personaggi, in modo da trovare un certo equilibrio. Ed è stato divertente.
The snowy landscapes of the stars and stripes border. The loneliness of a man abandoned by everyone. And a bleak, slowly and thoughtfully soundtrack. “The Revenant” (2015) is more than a movie. The masterpiece of the director Alejandro González Iñárritu tells the epic adventure of the explorer Hugh Glass among untold suffering and unshakable will. A trip along hundreds of kilometers, from the Missouri River to Fort Kiowa, in South Dakota, marked by the stage presence of Leonardo Di Caprio and punctuated by Ryūichi Sakamoto, Alva Noto and Bryce Dessner notes.
“The Revenant”, nominated for twelve Academy Awards, is loosely inspired on the novel (2003) by Michael Punke, based on a true story, that of a trapper survived from a grizzly attack and left alone by their own comrades, skins hunters against Arikara redskins, but able to survive the harsh winter in the wild West without arms and food. The strength of the character of Hugh Glass lies in his indomitable spirit, able to withstand even the loss of his son Hawk and the continuous memory of deceased wife during a raid at his village.
Nothing can dissuade him from his desire to avenge the murderess of Hawk, a half-breed Pawnee, killed by John Fitzgerald, played by Tom Hardy, already Bane in “The Dark Knight Rises” (2012), the last chapter of the trilogy directed by Christopher Nolan. Hugh Glass, seriously injured by the collision with the bear, is forced to stop the shipping to North Dakota. His body is entrusted to three men, ready to bury him in the woods if the situation deteriorates. A circumstance which provides a generous reward from the captain of the trappers.
After instigating the explorer to suicide, John Fitzgerald, unscrupulous and intolerant, tries to suffocate him, and then stabs Hawk hiding his body to the third man, Andrew Henry, forcing him into a lie to escape from the glade where they were camped. The first part of “The Revenant” ends here. The second is a crescendo of genuine emotions. Because Hugh Glass recorded the death of the child, gradually he recovers his strength, gets back on the road even on all fours, challenging the frost, eats roots and escaped twice from the merciless Arikara.
Revenge against the fugitive John Fitzgerald, a real combat in the snow, occupies the third and final part of the film, once Hugh Glass was able to reach Fort Kiowa among the general amazement of those who believed him dead. The performance of Leonardo Di Caprio, at the limits of silence, is extraordinary and fits specifically in the large spaces of nature, so malignant as benign, perpetually poised between the permanent snow and the fire that warms. A manichaean view that overlays the betrayal of the neighbor and love for their loved ones.
From the beginning, Alejandro González Iñárritu decided to surround himself with a lot of sound layers both acoustic and electronic. And it was natural to ask Alva Noto to help me out. Some parts have been developed separately, others generated by a continuous exchange of files. Bryce Dessner however recorded by his own, but listened to what I was doing, so it was a kind of indirect collaboration. I was really happy to have had the opportunity to work with such talented musicians!
The hyperrealist western of the Mexican filmmaker renews the art of showing off, but it breaks with tradition, preferring a comment at the limit of electronics, the work of a true ‘back to life’, Ryūichi Sakamoto, with the participation of Alva Noto, born Carsten Nicolai, and the guitarist Bryce Dessner of band National. During the summer of 2014, the Japanese composer Academy Award for the soundtrack of the film “The Last Emperor” (1988) by Bernardo Bertolucci, had retired to treat cancer of the pharynx. Twelve months later he is back in business with one of his longtime collaborators.
Four albums that expert composer of the Rising Sun, with thirty scores made for film and television, and the Teutonic boss of Raster-Noton signed together at the dawn of the new century to the present days. Works by hermetic titles – a “Vrioon” (2002), “Insen” (2005), “UTP_” (2008) and “Summvs” (2011) – who have distinguished themselves in terms of abstractions, atmospheres and avant-garde movements. An high ratig experiment, or a real triple-A in a glitch key. Joining forces for a soundtrack, maybe, an expected outcome for both artists to make another step forward.
Alejandro González Iñárritu had used two of my pieces in “Babel” (2006). At that time we talked on the phone. I had never met him, but the way he used my music at the end of the movie was very, very nice. Then, last year we receive a call from his office that it was like “come to Los Angeles tomorrow, we need a layer of sounds”. I was quite healed, I felt weak, but working with such a director can happen once in a lifetime. So I talked about it with my manager/companion.
The echo of the wind and the hardness of the frost. Cathartic hums of unfathomable nature vastness. The soundtrack of “The Revenant” is a hard listening experience, based on an intrinsic force that can go beyond the poignant images, beyond the brutality of the action, as well as the plot twists and, above all, over the inevitable field recording of the film itself. The slowness of the chords and the expansion of the sound punctuate serenity moments and uncertain future which, in the wake of a few tonal changes, can turn into calibrated pure tension exercises.
Beyond the intimate The Revenant Main Theme, a cinematic opening, the most attentive ears can not grasp the mastery of Ryūichi Sakamoto in soundscaping, as in the case of clattering anxieties of Killing Hawk or the chimes of elegiac Goodybe To Hawk. On the one hand, environmental drones perfectly stuck in graceful melodies; on the other the use of electronic tools and, above all, of chords instruments to mark the current drama on the big or small screen. This is the case of the more conventional tracks The Revenant Theme 2 or Out Of Horse.
The digital restlessness of Carrying Glass, the thuds in the distance of First Dream, the emotional crescendo of Discovering Buffalo, the suspensions of Second Dream are, however, among the best contributions arising from the continuous exchange of files between the Japanese musician and Alva Noto. Interestingly solo contribution by Bryce Dessner in Imagining Buffalo and Looking For Glass, two angular tracks, placid on the surface but equally energetic. The three producers sign together only the long and intense Powaqa Rescue and Cat & Mouse, a jagged harmonic evasion.
It is the prelude to the shrill consequences of the clash between protagonist and antagonist, marked by austere percussion of Final Fight, when the panorama of desolation is superposed a smell of death. Electronic elements outweigh the acoustic one. Finally, with the ethereal The End, Ryūichi Sakamoto sets the ultimate limit to the stunning skyline. The faint light of day fades slowly to the mountains behind. The valleys covered in snow all look the same: blood stains of John Fitzgerald color them red.
I believe that the main character of “The Revenant” is the nature. It’s not about the images, but the very nature sounds, including the roar of the bear. For this reason, in order to respect them the most, I thought it appropriate that music should not be too narrative. I wanted that my score was nothing more than a part of the sound of that nature. The main intention was to solicit an alternation with the characters emotions, so finding a balance. And it was fun.