Il campo della sperimentazione sonora è territorio di frontiera delle volte indecifrabile, delle altre puramente performativo o concettuale, molto meno di frequente musicale.
Non è facile sperimentare riuscendo a proporre suoni che riescano a mostrare anche un’estetica gradevole, o quantomeno funzionale. C’è poi un altro discorso da fare, vengono ormai i brividi a pensare a tutto il materiale che non riusciamo ad ascoltare, per l’uno o per l’altro motivo. E’ un mare magnum sconfinato, oceani di suoni ovunque, non è facile.
Noto però che questo può esser un incentivo che ci spinge a formulare un metodo per le nostre ricerche. Scegliere canali di ricerca inusuali come quelli che passano ad esempio per Bandcamp può essere oggi una strada straordinaria per riuscir a captare segnali ancora puri, che tendono a tenersi in disparte da odierne logiche consumistiche che passano per agenzie…che delegano ad altre agenzie per poi finire nei soliti negozi, sui soliti magazine, dentro i soliti podcast ed infine nei nostri locali.
Quegli stessi locali nei quali riversiamo parte del nostro tempo libero per cercar di assistere a qualcosa di nuovo, fresco, emozionante.
Capita sempre meno spesso, mentre di contro siamo invasi da eventi fotocopia, sia nel concept che nella lista degli ospiti.
Questo disco l’ho scoperto cercando. Cercando di scavare più a fondo.
Sugai Ken è al suo secondo album, 鯰上 – On The Quakefish, e viene accompagnato in questa nuova avventura da una neonata label, la Lullabies For Insomniac, che fa capo all’omonimo radio show trasmesso dalla giovane Izabel Caligiore in quel di Melbourne e ad un blog dove potete ascoltare anche degli ottimi podcast. Il suo è un approccio alla composizione moderno e piacevolmente strampalato, riesce a fondere insieme elementi di minimalismo jazz presi in prestito con buona probabilità da certi microcosmi italiani in zona “Stile Libero” e “Splasc(h) Records” con dei field recordings catturati nelle notti giapponesi, sintetizzando il tutto in taglienti schegge di suono.
Non è un caso questa coraggiosa combinazione di elementi, è anzi figlia dell’immensa passione che il popolo giapponese nutre verso il jazz-fusion italiano degli anni ’80 e per tutta la musica d’avanguardia connessa a queste scene.
E’ così che il risultato è un soundscape luminescente nel quale i vuoti ed i silenzi hanno la stessa importanza dei momenti di suono, perché i primi creano le profondità necessarie a far brillare queste lance che sembrano infilzare la notte rendendola habitat per note scomposte, voci, pads e registrazioni di varia natura: da porte che si aprono a suoni legnosi, acquatici o metallici.
La forza è tutta nel gusto che Sugai Ken dimostra di possedere, destruttura e poi ricompone i suoi ambienti manipolando le varie fonti per dar vita ad un carillon multiforme che oscilla tra ambient, soundtrack ’70, jazz minimale traducendosi in una sorta di folk alieno ed estremamente intimo. Non fatevene quindi un’idea classica, siamo di fronte ad un notevole lavoro di sintesi e ad un originale e futuristico approccio creativo.
C’è luce quando meno te lo aspetti, dopo quei silenzi che sembrano svuotarti la pancia e farti piombare nell’oblio.
E’ un disco che profuma di nuovo, di moderno, di un’idea originale messa in pratica con chirurgica perizia e deliziosa sensibilità musicale.