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Non è uno scherzo. “In Vitro” (2016) è il primo album a nome Luciano Lamanna. Un vero e proprio inedito per celebrare il diciottesimo anno di carriera come produttore. C’erano una volta Virus Voice e i Tekno Mobil Squad, rave illegali da infiammare e una manciata di cassette autoprodotte. La seconda release della sua nuova etichetta, Multiple, rappresenta così un unicum nell’ampia discografia del musicista calabro di adozione romana, spesso incline a ricorrere a uno o più pseudonimi per caratterizzare e, soprattutto, diversificare la sua arte in costante evoluzione.
Dal sud al nord, senza disdegnare alcune fughe oltralpe, la voglia di divertirsi non è mai mancata, così come l’indole ribelle. Un mix di tatuaggi, giubbotti neri e creatività da riversare tra i solchi di un vinile, prima di riutilizzare la stessa in consolle non solo come dj del collettivo LSWHR. Luciano Lamanna è uno degli artisti più versatili dell’underground italiano, un piccolo caso, forse, degno di finire sotto la lente d’ingrandimento dei media. La sua attività negli studi di registrazione è stata tanto costante quanto fertile. Una seconda vita, tutta musicale, dedicata al prossimo.
Un ingegnere del suono al servizio della Città Eterna, con oltre un centinaio di crediti, associabili ad artisti delle scene techno, new wave e hip hop. E, soprattutto, un battitore libero, non identificabile entro schemi precisi, i cui valori fondamentali sono riassumibili in un’unica parola: ricerca. Da una parte il desiderio di sperimentare sempre nuove soluzioni sonore, dall’altra la necessità di raggiungere equilibri differenti, talvolta in coppia con altri amici e musicisti. È il caso del recente progetto Balance, condiviso con Davide Ricci, alla cui base poggia un monolitico modulare.
Lo stesso macchinario è l’indiscusso protagonista anche di “In Vitro”, il disomogeneo album della maturità, composto da sei lunghe tracce collocabili a metà strada tra avanguardia ed elettronica. Un disco diretto ed esplicito, contraddistinto sia da pause impreviste che da granitici beat. L’improvvisazione è pari solo al grado di introspezione. L’oblio di Luciano Lamanna non è affatto trascritto a chiare lettere, ma traspare dalla sua lettura del futuro con gli occhi del passato. Il lavoro, disponibile anche in vinile colorato, è impreziosito non solo dall’iconica copertina di Matteo Nasini.
“In Vitro” vanta, infatti, alcune preziose collaborazioni: quelle di Eugenio Caria, meglio noto alle cronache come Saffronkeria, il sassofonista Luca Tommaso Mai degli Zu e il chitarrista Manuel Mazzenga dei Der Noir sono intervenuti presso il Subsound Studio, sede dell’omonima etichetta. L’apertura del doppio vinile è affidata ad Autoscatto, un’istantanea dai contorni dub, forte di fraseggi a elastico o, per l’appunto, a scatto. Ramallah, intrisa di un feeling vagamente orientale, è la sua alternativa gracchiante. Un’altra traccia in caduta libera tra lampi e tuoni modulari.
La discesa dal ‘Monte di Dio’ è meno ripida del previsto. A differenza dei precedenti brani, la vorticosa Everything Shall Die In The End mette maggiormente in evidenza le percussioni e si contraddistingue come differente modo di invocare la fine, rinunciando all’ausilio del drone. La sbilenca 1977 è, invece, altamente carica di una valenza simbolica, oltre che delle esplosive note del sassofono. Il titolo rimanda alla data di nascita dello stesso Luciano Lamanna. E, non casualmente, quella di rilascio di “In Vitro” cade il 21 giugno, giorno del compleanno dell’artista.
A una traccia così ben congegnata segue ‘logicamente’, ricalcando in pieno la vena di un musicista devoto all’oscurità, l’abrasiva e frammentata I Wish I Could See The Apocalypse, che nasce, cresce e muore nell’arco di un’improvvisazione molecolare di sette minuti. La sua conclusione è, poi, affidata a poche romantiche note di pianoforte, un altro accessorio da poter esibire senza alcuna forma di pudore. Infine, il cortocircuito della title-track In Vitro, dal battito più tradizionale. Scariche di corrente elettrica e alternative forme di ipnosi. Autentici motivi di orgoglio.
It’s not a joke. “In Vitro” (2016) is the first album with the name of Luciano Lamanna. A real novel to celebrate the eighteenth year career as a producer. There were once Virus Voice and Tekno Mobil Squad, illegal raves to give fire and a handful of self-produced cassettes. The second release of his new label, Multiple, represents a unique in the vast discography of the Calabrian, but adopted by Rome, musician, often inclined to recur to one or more aliases to characterize and, above all, to diversify his art constantly evolving.
From south to north, not forgetting some transalpine leaks, the desire to play has never been lacking, as well as the rebellious nature. A mix of tattoos, blacks jackets and creativity to be transferred between the grooves of a vinyl record, before using the same in console not only as dj for the collective LSWHR. Luciano Lamanna is one of the most versatile artists of the Italian underground, a small case, perhaps, worthy of ending up under the magnifying lens of the media. His activity in the recording studios has been as constant as fertile. A second life, full of music, dedicated to other talents.
A sound engineer at the service of the Eternal City, with over a hundred credits, associated with artists of the techno, new wave and hip hop scene. And, above all, a maverick, unidentifiable within specific schemes, whose core values can be summarized in one word: research. On the one hand the desire to always experiment new sound solutions, on the other the need to reach different equilibrium, sometimes paired with other friends and musicians. This is the case of the recent Balance project, shared with David Ricci, whose base stands a modular monolithic.
The same machinery is the undisputed protagonist of “In Vitro”, the rough album of maturity, consisting of six long tracks placeable somewhere between avant-garde and electronic music. A direct and explicit record, characterized both by unexpected pauses as granite beats. Improvisation is matched only with the degree of introspection. Luciano Lamanna’s forgetfulness is not copied clearly, but shines through his reading of the future with the eyes of the past. The work, also available as colored vinyl, is enriched not only from the iconic cover of Matteo Nasini.
“In Vitro” has, in fact, some valuable collaborations: those of Eugenio Caria, better known to the news as Saffronkeria, saxophonist Luca Tommaso Mai of Zu and guitarist Manuel Mazzenga of Der Noir intervened at the Subsound Studio, seat of the eponymous label. The opening of the double vinyl is entrusted to Autoscatto, a dub contours snapshot, strong of an elastic phrasing or, in fact, chunk. Ramallah, imbued with a vaguely oriental feeling, is its croaking alternative. Another track falling free between lightning and thunder modular elements.
The descent from the ‘Mountain of God’ is less steep than expected. Unlike previous titles, the whirling Everything Shall Die In The End puts greater emphasis on percussions and stands out as a different way to invoke the end, giving up the help of the drone. The oblique 1977 is, however, highly charged of a symbolic value, than that of the explosive notes of the saxophone. The title refers to the date of birth of the same Luciano Lamanna. And, not coincidentally, the release of “In Vitro” falls on June 21st, the day of the artist’s birthday.
On a track so well thought follows ‘logically’, tracing the vein in the middle of a devoted musician darkness, the abrasive and fragmented I Wish I Could See The Apocalypse, that is born, grows and dies in the space of a seven minutes molecular improvisation. Its conclusion is, then, entrusted to a few romantic piano notes, another accessory you can show without any form of modesty. Finally, the short circuit of the title-track In Vitro, with a traditional beat. Discharge of electric current and alternative forms of hypnosis. Authentic reasons of pride.