Quarto album per gli Swayzak, duo composto da James Taylor and David “Broon” Brown, che di volta in volta si avvale di numerosi artisti per le loro produzioni.
Decisamente lontani dalle sonorità del loro ultimo album Dirty Dancing ed abbandonate quindi tutte le cadenze electro/clash del caso, decidono di gettarsi nella corrente deep electronic che sembra stia tornando alla grande. In questo nuovo Loops From The Bergerie, anche l’uso delle parti vocali viene radicalmente stravolto, offrendo voci che vanno d’amore e d’accordo con la melodia.
Il disco ha degli alti e bassi molto netti, che mettono in evidenza, in alcuni casi, una mancanza di idee, o forse una “non” padronanza del mezzo comunicativo scelto.
Dopo il gradevole inizio di Keep It Coming, nel quale una romantica melodia elettronica danza con una voce robotica facendomi letteralmente aprire la mente, vengo poi rapito dalla successiva Another Way, pura deep house che potrebbe essere la ciliegina sulla torta di un set dei Deep Dish, quì la cassa pulitissima si sovrappone con fermezza al leggero groove di sottofondo, facendo da aperitivo al cantato, dalle connotazioni questa volta calde ed umane, che afferra l’intera traccia sostenendola fino alla fine.
Ma già con Bergerie, traccia numero 3, molte delle affascinanti idee iniziali vanno perdendosi, anche se l’inizio ci regala un’intro ricca di bei suoni, è poi un selvaggio suono electro non propriamente modellato a dovere ad offuscare la composizione. Altra traccia a mio avviso “fuori tema” la successiva My House, con il suo cantato new wave in sella ad una struttura ritmico/melodica che non sà mai sù che piede poggiarsi.
Jeune Loup è splendida, forse di gran lunga la loro traccia migliore, un ottimo esempio di come la sperimentazione elettronica può sposarsi con una ritmica deep altamente ossessiva. E le cose vanno ancora per il loro verso con Snowblind e Then There’s Her: la prima synth pop molto ben confezionata, mentre la seconda deep electronic nuda e cruda. Totalmente da dimenticare 8080 e Speakeasy, messe lì non sò a quale proposito, ma con il sicuro risultato di aver abbassato notevolmente il livello qualitativo. Chiude The Long Night, ed è un pò come mettere in pasta tutti gli ingredienti, facendoci…solo…aspettare la fine.
Le cose ben fatte dell’album sono di qualità elevatissima e da sole avrebbero costituito un album dignitosissimo…ma a 10 tracce (aimè) dovevano pur arrivarci.
Decisamente lontani dalle sonorità del loro ultimo album Dirty Dancing ed abbandonate quindi tutte le cadenze electro/clash del caso, decidono di gettarsi nella corrente deep electronic che sembra stia tornando alla grande. In questo nuovo Loops From The Bergerie, anche l’uso delle parti vocali viene radicalmente stravolto, offrendo voci che vanno d’amore e d’accordo con la melodia.
Il disco ha degli alti e bassi molto netti, che mettono in evidenza, in alcuni casi, una mancanza di idee, o forse una “non” padronanza del mezzo comunicativo scelto.
Dopo il gradevole inizio di Keep It Coming, nel quale una romantica melodia elettronica danza con una voce robotica facendomi letteralmente aprire la mente, vengo poi rapito dalla successiva Another Way, pura deep house che potrebbe essere la ciliegina sulla torta di un set dei Deep Dish, quì la cassa pulitissima si sovrappone con fermezza al leggero groove di sottofondo, facendo da aperitivo al cantato, dalle connotazioni questa volta calde ed umane, che afferra l’intera traccia sostenendola fino alla fine.
Ma già con Bergerie, traccia numero 3, molte delle affascinanti idee iniziali vanno perdendosi, anche se l’inizio ci regala un’intro ricca di bei suoni, è poi un selvaggio suono electro non propriamente modellato a dovere ad offuscare la composizione. Altra traccia a mio avviso “fuori tema” la successiva My House, con il suo cantato new wave in sella ad una struttura ritmico/melodica che non sà mai sù che piede poggiarsi.
Jeune Loup è splendida, forse di gran lunga la loro traccia migliore, un ottimo esempio di come la sperimentazione elettronica può sposarsi con una ritmica deep altamente ossessiva. E le cose vanno ancora per il loro verso con Snowblind e Then There’s Her: la prima synth pop molto ben confezionata, mentre la seconda deep electronic nuda e cruda. Totalmente da dimenticare 8080 e Speakeasy, messe lì non sò a quale proposito, ma con il sicuro risultato di aver abbassato notevolmente il livello qualitativo. Chiude The Long Night, ed è un pò come mettere in pasta tutti gli ingredienti, facendoci…solo…aspettare la fine.
Le cose ben fatte dell’album sono di qualità elevatissima e da sole avrebbero costituito un album dignitosissimo…ma a 10 tracce (aimè) dovevano pur arrivarci.