Questa favola potrebbe cominciare tranquillamente con…C’era una volta, tanto tempo fà, è nel 1998 che ha inizio l’avventura musicale degli Slow Motion, ed è tra suoni elettronici rarefatti, e menti in costante fermento, che nel 2000 la loro vena creativa fà nascere uno dei festival di musica elettronica più insoliti che esista, ovvero “L’Half die festival”, e dico insolito perchè si svolge sul tetto di una casa della città eterna.
Ora quei suoni elettronici rarefatti hanno subito una mutazione, sono andati in qualche modo a ricomporsi, creando inevitabilmente una forma, e la forma ha preso il nome di “Summer of my youth”.
L’inizio è forse l’unica pedina rimasta libera dalla scacchiera, “Me Le Lo Ba”, infatti, conserva ancora astrazioni elettroniche che danno luogo ad una song che a mio avviso poco appartiene a questo lavoro, se non nel finale quando il contrabbasso entra prepotente a donare un pò di calore.
Appena parte “A digital anthem” si può ben dire di essere entrati nell’anima del disco, il fraseggio che avviene tra gli sporchi suoni dell’elettronica ed il giro di piano comincia a modellare quello che poi sarà il corpo del lavoro, ovvero una rilettura del pop in chiave elettronica, e non è un caso se questo disco và ad allinearsi a ciò che già hanno sperimentato gruppi come Telefon Tel Aviv, Funkstorung, o anche gli Swayzac nel loro ultimo lavoro. Sì vuole dare nuova linfa alla musica pop, e questi nè sono i primi audaci segnali.
Ed è infatti la voce, l’elemento che entra in gioco proprio nella traccia che dà il titolo all’album, “Summer of my youth”, che con i suoi interventi vocali leggeri e spensierati potrebbe benissimo fare da sfondo ad un film anni ’60 quasi a sostituire il “Beat” che allora la faceva da padrone. Seguita da “Marbles” e “New Melodies” che ancora in onda beat intrisa di elettronica proseguono il precendente viaggio, ma attenzione, senza le voci.
Ma la rotta cambia decisamente, quando il vocoder và a rimodellare la parte vocale di “On a Club”, ed a cavalcare un onda decisamente eighties, portata al culmine della devozione dalla successiva “Yang Yin (Where is my beauty now? Ver)”, quì sembra di ascoltare i Depeche Mode addolciti.
Quando ascolto “Smoking in Toilets”, e mi immergo nelle sue note evocative e nello struggente cantato, immagino “L’Half die festival”, immagino il sole che tramonta, il calore che pian piano si dissolve, andando a perdersi nell’oscurità, con “R…drum”, che evolve pian piano lasciandosi tutto alle spalle, ed esplodendo poi in un denso basso portante……Inizio a ballare….
Ora quei suoni elettronici rarefatti hanno subito una mutazione, sono andati in qualche modo a ricomporsi, creando inevitabilmente una forma, e la forma ha preso il nome di “Summer of my youth”.
L’inizio è forse l’unica pedina rimasta libera dalla scacchiera, “Me Le Lo Ba”, infatti, conserva ancora astrazioni elettroniche che danno luogo ad una song che a mio avviso poco appartiene a questo lavoro, se non nel finale quando il contrabbasso entra prepotente a donare un pò di calore.
Appena parte “A digital anthem” si può ben dire di essere entrati nell’anima del disco, il fraseggio che avviene tra gli sporchi suoni dell’elettronica ed il giro di piano comincia a modellare quello che poi sarà il corpo del lavoro, ovvero una rilettura del pop in chiave elettronica, e non è un caso se questo disco và ad allinearsi a ciò che già hanno sperimentato gruppi come Telefon Tel Aviv, Funkstorung, o anche gli Swayzac nel loro ultimo lavoro. Sì vuole dare nuova linfa alla musica pop, e questi nè sono i primi audaci segnali.
Ed è infatti la voce, l’elemento che entra in gioco proprio nella traccia che dà il titolo all’album, “Summer of my youth”, che con i suoi interventi vocali leggeri e spensierati potrebbe benissimo fare da sfondo ad un film anni ’60 quasi a sostituire il “Beat” che allora la faceva da padrone. Seguita da “Marbles” e “New Melodies” che ancora in onda beat intrisa di elettronica proseguono il precendente viaggio, ma attenzione, senza le voci.
Ma la rotta cambia decisamente, quando il vocoder và a rimodellare la parte vocale di “On a Club”, ed a cavalcare un onda decisamente eighties, portata al culmine della devozione dalla successiva “Yang Yin (Where is my beauty now? Ver)”, quì sembra di ascoltare i Depeche Mode addolciti.
Quando ascolto “Smoking in Toilets”, e mi immergo nelle sue note evocative e nello struggente cantato, immagino “L’Half die festival”, immagino il sole che tramonta, il calore che pian piano si dissolve, andando a perdersi nell’oscurità, con “R…drum”, che evolve pian piano lasciandosi tutto alle spalle, ed esplodendo poi in un denso basso portante……Inizio a ballare….