Facciamo un passo indietro.
Inizio del nuovo secolo, Kenny Larkin lascia la fredda e grigia Detroit, cambia vita. La meta scelta è la calda e caotica Los Angeles, metropoli sempre pronta ad accogliere tra le colline di Hollywood e le ville di Beverly Hills piccoli e grandi attori o aspiranti tali. “Stand-Up Comedy” e scuola di recitazione, produzioni e testi per la tv e sit-com, ego e cura della propria immagine, che da sempre caratterizzano il carattere del genio di Detroit, al centro di ogni interesse, ma niente musica. E’ il 2004, esce Funkfaker, rivisitazione sperimentale e tutta personale del funk, ma non è lui, non è Azimuth.
Siamo ad oggi e “Keys, Strings, Tambourines” è un vero e proprio ritorno al futuro della musica techno. Il nuovo lavoro viene pubblicato nientemeno che dalla Planet E, etichetta indipendente di Carl Craig che, per la registrazione dell’album, spalanca le porte del suo studio giorno e notte.
Detroit, a distanza di tempo dunque, ricompare nella vita di Larkin sotto forma di musica per un lavoro che si presenta quanto mai variegato e completo: ce n’è da suonare all’interno di un club e ce n’è da sdraiarsi, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle emozioni.
L’immancabile cassa fa spesso da sottofondo lontano ad una perfetta amalgama di assoli di piano che tanto richiamano alla musica jazz dei neri americani quanto alle migliori produzioni della house di Chicago. E ancora lunghe atmosfere che ammorbidiscono loops ipnotici, acidi e ossessivi fatti per penetrare nel lato più profondo della mente e mettere in movimento il corpo. E’ la techno.
“You are”, il brano scelto come prima uscita, ha tutte le caratteristiche per diventare un vero proprio inno dei giorni nostri: su una cassa veloce e carica di groove la voce di Kenny Larkin si fa incalzante, l’anima nera esce fuori prendendo in prestito lo spirito e il carisma dei predicatori americani. “You are the designer of your destiny, you write the story, you are your own motivation, you are light”.
“Androgenus”, traccia scritta con synth e lente ripartenze, è forse quanto di più raffinato si possa trovare in questo lavoro. Splendido è lo xilofono che accompagna “Vibin” cosi come lo sono le tastiere e i suoni deep e profondi di “Wake Me”; “Drone” composto da microsuoni e un lento sospiro campionato per tutto il brano, insieme al prossimo singlo in uscita, “Bass Mode”, sono un omaggio al presente e alle composizioni minimali mentre “Glob”, pezzo preferito dello stesso Larkin, è, senza altri giri di parole, pura techno di Detroit.
“Computer Rain”, “Wake Outro” e, soprattutto, “Siren” sono solo brevi accenni, lunghi meno di due minuti, di quello che, speriamo, sarà il futuro. Chiudono “Cirque du Soleil”, brano con una costruzione ritmica essenziale e con una cassa che si apre lentamente agli assoli di piano, a mio avviso, un po’ troppo “french touch”, e “Deja Vu” lenta e piacevole composizione di synth distorti che ci accompagnano alla fine del viaggio.
Un viaggio nel passato, dunque, ma anche un ritorno al futuro. Questa è la musica, questa è la techno.