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Album Reviews /

Scott Grooves It Doesn’t All Have To Be Techy

  • Label / Beautiful Instruments
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / dec 2008
  • Style / ,
  • Rating /
    9/101
S. Grooves

E’ una delle tante sere di questo freddo e piovoso inverno e dalle casse del mio impianto escono le note di questo disco: c’è qualcosa che non và. Mi guardo intorno. Niente mare, niente sole, niente ragazze in costume e niente cocktails serviti su divanetti di vimini. Spengo tutto. Passa quasi un mese e l’ultimo lavoro di Scott Grooves suona di nuovo nello stereo della mia macchina in una splendida giornata di sole. Ora si ragiona.

Scott Grooves muove i suoi primi passi nientemeno che alla corte di Jeff Mills e dei maestri di Detroit passando per il Music Institute e per le tastiere degli Inner City approda alla Soma Record, etichetta per la quale produce per molto tempo, sviluppando un suono tanto house quanto immerso nella fredda città industriale americana. La sua attitudine all’uso del piano e di altri strumenti suonati in presa diretta all’interno delle proprie produzioni lo portano a lavorare con artisti del calibro di George Clinton, con il quale collabora a un re-edit del brano Mothership Connection.

It Doesn’t all have to be techy, per ora uscito solo in formato digitale su Natural Instruments, ha molto di tutto questo ed ha, fin da subito, le sembianze di un classico della house music. Caldo e solare, ma allo stesso tempo pervaso da sonorità profonde e scure, è uno di quei lavori che riescono a trasmettere emozioni fin dal primo ascolto catapultando l’ascoltatore, col suo “easy listening” e incursioni in fantastiche sonorità jazz, in un universo parallelo capace di rilassare e far viaggiare la testa in località remote del pianeta.

Che si tratti di un disco eccezionale lo si capisce fin dalla traccia di apertura, It Doesn’t all have to be techy, un essenziale quanto eccellente esercizio di pura house accompagnato da incursioni di piano e chitarra.
The Next Day,già pubblicato nel 2000, vede la collaborazione di Gregg Dokes, eccellente jazzista, è un lungo e lento richiamo a un altro lavoro di Scott Grooves, A New Day (Soma 58,1997), che compare sul finire del brano. Why (Kolai MiX) è un tramonto sulla spiaggia mentre la voce di Alton Miller e le percussioni che accompagnano tutto il brano fanno di Hot (2001) il perfetto incontro tra il suono di Chicago e quello di Detroit.

I suoni si fanno più scuri e la battuta diventa spezzata dando vita alle sonorità deep e altrettanto eccellenti di Flute Mode e Pursuit of Happiness per giungere a Darkness che vede di nuovo protagonista l’eclettismo di Gregg Dokes al piano, sicuramente il brano migliore di tutto l’abum.

Un ottimo lavoro, dunque, da portare sicuramente con se in vista della bella stagione che sta arrivando.

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