E’ affidato a Samuel L. Session l’onore di inaugurare il catalogo degli album della Be As One. Dopo una serie di ep di medio/alto livello, l’etichetta creata da Shlomi Aber nel 2006 approda con “The Man With The Case” al primo lavoro su lunga distanza, compito svolto in maniera eccellente dal produttore svedese, forte di un passato in ambito musicale più che decennale.
Se l’ultimo ep, suddiviso in “Big Bad Drum” e “Chimes” (entrambe contenute nell’album), forniva solo in parte un’indicazione su cosa sarebbe stato lecito attendersi da “The Man With The Case”, l’album sembra proseguire nella direzione tracciata dal lato b “Chimes”, evidenziando un suono techno/deep-house classico e molto elegante. Un suono che guarda direttamente alle fonti, a quanto forgiato dai fuoriclasse di Detroit: dai bassi poderosi di Kevin Saunderson, ai tunnel oscuri “scavati” da Robert Hood, passando per le profondità di Carl Craig.
L’apertura di “Time” svela già parzialmente gli ingredienti dell’album: profondità abissali, aperture cosmiche, groove caldi e avvolgenti uniti a una certa malinconia di fondo tipica di alcune delle migliori produzioni provenienti dalla città del Michigan.
A seguire, disseminate tra i dodici episodi, troviamo l’ipnosi e il groove incalzante di “Lucious” (sicuramente tra i pezzi migliori), le profondità (probabilmente l’aggettivo che meglio definisce l’intera collezione dei brani) di “Past And Present”, i bassi minacciosi in stile Slam (la cui Soma peraltro ha già incrociato il percorso artistico di Samuel in passato) di “My People” e della già citata “Big Bad Drum”, i suoni cristallini di “Clear As Day”, le “pulsazioni” della conclusiva “Pulse”.
Ma è la compattezza dell’insieme a fare di “The Man With The Case” un ottimo album. Un album, in definitiva, che procede lungo una sola direzione e si concentra essenzialmente su un suono. Un suono che, tuttavia, viene esplorato e sviluppato nelle sue possibili diramazioni con passione, classe e competenza, pur restando ad esso circoscritto. Un limite che, volendo essere pienamente oggettivi, rappresenta nello stesso tempo il pregio e forse l’unico difetto di un lavoro che riesce comunque a trasmettere sensazioni intense.