L’asso belga Van Hoesen è ormai un prime number della scena techno mondiale, a conferma di ciò questa incredibile produzione che è poi di fatto il suo album di debutto.
Forte di una presa di coscienza pressoché perfetta dei nuovi linguaggi elettronici, via ogni orpello ornamentale, Van Hoesen passa al setaccio i suoni usciti dalle macchine selezionando una gamma molto ristretta di tonalità.
Un lavoro prima di tutto di cesello, che culmina poi in una visione futuristica e visionaria dei dancefloor per gli anni a venire.
Dobbiamo dire un’altra cosa, la musica di questo album può considerarsi sicuramente, anche, d’ascolto.
Le pieghe del suo suono poggiano in profondità e scavano cunicoli freddi e bui.
Una forte componente dark ambient imperversa minacciosa, specialmente quando ad entrare in gioco sono le frattaglie metalliche e gli umori sfocati che tappezzano la materia rocciosa che circonda il tutto (Republic),
e più in generale per il largo utilizzo di drones, che uniti alla cassa cavernosa praticamente ovunque imperante, sono caratteristica fondante di un lavoro che non disdegna importanti momenti di riflessione dove ad emergere è una desolazione post bellica infuocata e dal sapore irrimediabilmente amaro (Testing a Simulacrum).
C’è un forte respiro nordico scolpito nel suono, qualcosa che ha a che fare con Biosphere, quando ad espandersi puntando l’orizzonte sono impercettibili scaglie con apparente movenza randomica. Oltre che con alcune intuizioni berlinesi dell’ultim’ora caratterizzate da un’ ossessione per il ritmo, lavorato in maniera decisa e meticolosa, in un brano come “Closing the Distance / Toy Universe” potrete trovare depositati sul fondo diversi strati percussivi che mescolati danno vita ad un battito minimale ricco di vita.
L’artista ci spiega, se mai non avessimo ancora trovato conferma, come la techno possa essere una musica futuristica e cinematica, scrivendo un brano come “Dystopian Romance”, un missile terra/aria che nella fase del decollo si lascia dietro una scia multicolor che riempie di colore una notte altrimenti troppo buia, esplodendo poi in una catastrofe distruttiva che non lascerà superstiti.
C’è da parlare di robot o di androidi, c’è d’aver paura, è una furia incontrollabile Van Hoesen, un artista che parlando una lingua nuova riesce anche a portare un saluto a Detroit: “Terminal”, in un avanzata che è puro estratto di Mills ed Hood corretti alla nitroglicerina.
Entropic City è il posto dove non vorrete mai nascondervi, e la techno che esce allo scoperto distruggendo tutto e tutti.