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Flying Lotus Cosmogramma

Cosmogramma

Steve Allison è un artista intorno al quale si è fatto un gran vociare. Al suo album di debutto: Los Angeles, sono stati alzati paragoni vertiginosi ed a mio avviso un po’ troppo imprudenti, quello di scomodare Dilla è un gesto che dovrebbe esse fatto con tutte le cautele del caso.
E poi metter tutta questa pressione intorno ad un musicista non è mai cosa indicatissima.
Detto questo la curiosità d’ascoltare un suo nuovo album era forte, soprattutto per cercar di capire in quale direzione sia orientata la sua musica.

Quel che ci aveva positivamente impressionati in Los Angeles era una sbalorditiva capacità nel trattare beat e strati di suono, e la sua sensibilità nel rendere il risultato di queste operazioni di montaggio molto vicino all’anima. Poi c’era una questione di eclettismo tutta da chiarire, forse il punto che più ci lasciò perplessi, bravo sì, ma alcuni tagli, accelerazioni ed affondi ritmici non erano cosa già sentita?

Cosmogramma ha una partenza che fa sudare freddo, “Clock Catcher” è una di quelle sfuriate squarepushiane che il primo pensiero è stato letteralmente “ce lo siamo giocato!”.
Poi avviene qualcosa che cambia totalmente le carte in tavola, ed ha inizio così un opera che è un dipinto Space Jazz installato su un pianeta dalle coordinate irrintracciabili.

Allison comincia a tessere i vari elementi, moltissimi come al solito, segmenti microscopici scovati nella polvere, in una collezione di vecchi dischi che aspettava soltanto d’esser vivisezionata, e lo fa con la solita dovizia, ok possiamo cominciare a chiamarla maestria, ora possiamo finalmente scrivere con un’approssimazione vicina alla verità di un estro creativo e melodico fuori dal comune, soprattutto se pensiamo alle fonti utilizzate per renderizzare questo lavoro.
Tutto diventa insieme, musica che assume forme dinamiche ed imprevedibili che al tempo stesso mantengono delle costanti: dapprima troviamo quella stratificazione ormai tratto distintivo della musica targata Flying Lotus, un primo livello nel quale vengono poste le basi di un disegno tra i più complessi, piccoli accordi, tic, battiti, rumori, umori ed accordi che in questo caso ci hanno trasportati direttamente nello spazio, in quella zona priva di materia ma pregna di pensiero, un luogo alla Sun Ra per intenderci, infatti in questa musica c’è molto di quelle session, riferimento poi mantenuto anche nella grafica che accompagna l’uscita del disco. Poi subentrano le parti suonate live, con basso, percussioni, arpa, violino e sax, eseguite da altrettanti musicisti validissimi.

Inserzioni che arricchiscono notevolmente il risultato, fungendo in alcuni casi da vero e proprio elemento fondante del brano, l’arpa ed il violino di “Intro//A Cosmic Drama” sono a dir poco spaventosi.
Ed il basso di Thundercat in “Satelllliiiiiiiteee”, ondeggia e si srotola in maniera fantastica, fino ad assumere il controllo melodico della situazione sul finire di un brano che levita come un corpo celeste.
Od ancora il sax del cugino Ravi Coltrane su “German Haircut” incredibile brano di circa due minuti che consacra questa musica al free jazz più ispirato anche grazie alla batteria del bravissimo “Richard Eigner”.

La durata dei brani è un altro tratto distintivo dell’uomo, tutto è concentrato in brevi ed intensissimi spazi, tornando sull’esempio di “German Haircut” provate ad immergervi ed appurare in che maniera tutto riesce ad essere perfetto in soli 2 minuti, fate vostri gli strumenti e poi scavate in profondita, in quella zona nera che è Flying Lotus all’ennesima potenza ed ascoltate cos’è riuscito a creare con l’utilizzo di un synth e pochissimi elementi campionati.

Certo, c’è ancora qualche affondo fuori controllo che può risultar nocivo, ma più che altro si tratta di improvvisazioni che non ti aspetteresti da un album così, come il brano d’apertura insomma, ma anche ques’elemento, sembra appartenere completamente alla sua visione, quindi metabolizziamo insieme al resto.
La sensazione è che nel prossimo ci racconterà ancora un’altra storia, menomale! Perché qui siamo alla perfezione (esplorazione space jazz grandiosa sia in funzione dei pregi che dei difetti) e ripetersi non sarà facile se non cambiando registro.
Il disco non è per nulla semplice, e richiede degli ascolti solitari e concentrati, ma questo è solo un bene, perché di dischi da ascoltare in treno con un paio di cuffie da due soldi ce ne sono fin troppi, e trovar qualcuno che ci impone d’aver tempo per la musica è novità ben accetta.
Se non avete ancora capito, è un capolavoro.

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