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Album Reviews /

Jahcoozi Barefoot Wanderer

  • Label / BPitch Control
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Apr 2010
  • Style / ,
  • Rating /
    8/101
Jahcoozi

Il progetto Jahcoozi prende forma a Berlino nel 2002 come sodalizio multiculturale, ancor prima che musicale, e nasce dall’incontro tra il tedesco Robot Koch, responsabile dei beat, l’israeliano Oren Gerlitz (all’epoca ancora a Tel Aviv), creatore delle profonde linee di basso e la bella voce della londinese (di origine cingalese) Sasha Perera.
Dopo svariati ep su etichette diverse e collaborazioni prestigiose, approdano ora alla corte della BPitch Control per il loro terzo album, che segue i precedenti “Pure Breed Mongrel” del 2005 e “Blitz ‘n’ Ass” del 2007.

“Barefoot Wanderer” nasce a seguito di un lungo tour che nel 2008 ha toccato ben quattro continenti permettendo loro di stringere nuove amicizie e consolidare rapporti, fornendo lo spunto per allargare i confini del proprio suono.
Esperienze che sono tangibili nei suoni e nelle collaborazioni e illustrate già a partire dalla scelta del titolo, più che mai appropriato.
Che sia il percussionista Guillermo Brown in “Speckles Shine” o gli mc della crew Ukoo Flani in “Msoto Millions” (registrata in Kenya con il supporto del Goethe Institute) poco importa: è la forza di un’idea e della volontà di sperimentazione senza compromessi a farla da padrona.
Citiamo, tra gli episodi degni di nota, i bassi avveniristici di “Zoom In Fantasize”, le profondità viscerali di “Lost In Bass” (titolo più che mai indicativo), i ritmi “alla Nearly God” di “Barricaded”, graziati dal contributo vocale della cantante belga Barbara Panther, e i suoni che rimandano nuovamente alla Bristol anni novanta di “Watching You”.
Unico neo: la cover incerta di “Close To Me” dei Cure, fuori luogo e fuori contesto, che sicuramente ha il suo peso ma risulta ben poca cosa alla luce della portata dell’intero album.

Un album che porta avanti un discorso musicale coraggioso, un percorso fatto di contaminazione tra generi con le vibrazioni calde del basso sempre in evidenza, le orecchie rispettosamente rivolte al passato (l’età dell’oro del dub su tutto) ma proiettate per attitudine al futuro, con interessanti esperimenti e creazioni di ibridi tra avant-dub e dubstep per una forma di pop moderno ed evoluto. Pop personale e lontano da stereotipi come sintetizzato esplicitamente nei versi illuminati di “Read The Books”: “if you read the book everyone is reading, you can only think what everybody is thinking”.  

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