Ho letto in giro che è un album per soli fan, ebbene io sono un fan e gli do dieci a prescindere.
Gerald Simpson è uno che ha avuto più reincarnazioni del demonio, dalla techno all’acid house, passando per la jungle e la drum and bass, ed ovunque ha alzato la gamba e segnato il territorio, senza timore e soprattutto sganciando delle mine che si sono conficcate anche nei costati più tenaci.
Con lui è tutto lontano ed allo stesso tempo tutto vicino, frontale direi. Un mago quando c’è da scrivere melodie e brani che devono entrare nell’anima, un precursore assoluto, come nel caso di Black Secret Technology, un album che è stato Burial quando ancora Burial metteva il grembiule e andava a scuola.
Momenti bassi ce ne sono stati, eccome, per quasi un decennio, e più volte siamo arrivati lì lì per dire: “E Finito!”, i finiti sono altri.
Eccolo di nuovo alle prese con la techno più impegnata, quella che attinge al soul, quella che scava a mani nude perché la verità è pur sempre una questione di pelle, e per uno che la cambia spesso come lui è fondamentale non perdere il contatto, Tronic Jazz The Berlin Sessions sprigiona calore, è lontano dalle logiche da dancefloor e vicino alla mente. Si apre con una di quelle cose che abbiamo sentito fare soltanto a John Beltran: “People Mover”, un incanto di synth, piano e cassa, luci fioche ed un fumo grigio e profumato che ci annebbia la vista per farci vivere il momento con il solo utilizzo dell’udito. Commovente.
Poi ogni brano scivola dentro l’altro, “Nuvo Alfa” è un mutante electro/techno/house d’altri tempi, con un oscura melodia che a gran voce traina tutto l’impianto, “Flutter” segue l’onda perfettamente, sfoggiando una cassa di gran lustro ed un andirivieni di piccoli luccicanti suoni a contorno.
Inland è un grandioso impianto dub techno potente e preciso, con un dondolo d’organo ed un raddoppio ritmico da pelle d’oca.
“Just Soul” torna sul luogo del delitto in un ibrido Galaxy to Galaxy/Beltran che è ebollizione pura, “Round Eco” è tutto uno sbocciare di synth piatti e bassline, tanto rigogliosa quanto è minimale la successiva “Dirty Trix”, una tavolozza dalla quale Simpson preleva solo microscopiche parti per comporre un bouquet ricchissimo con un’anima dannatamente latina.
Vuoi o non vuoi la nostalgia è salita anche a lui, così che alla posizione numero 11 troviamo un brano dal titolo “Pacific Samba”, un punto sulla i per quella separazione dagli 808 State che forse ancora brucia, con il risultato che “Pacific State” torna a vivere nuovi indiretti fasti senza stancare assolutamente.
Ancora due bellissimi brani: “Conclusion F min Blue” e “Merfed” che può tranquillamente essere parte della colonna sonora di Blade Runner.
Menomale che esistono i fan.