Il suono più malinconico ed allo stesso tempo (non so per quale assurda ragione) più incline ad entrare nelle grazie dell’hype mondiale sembra esser localizzato nella vecchia Londra, è un suono di periferia, che ha il sapore dell’intimità ed il fascino sfuggevole di chi non è abituato a sentirsi troppo al centro dell’attenzione.
Era successo con Burial, succederà con i Mount Kimbie, due ragazzi britannici che rispondono ai nomi di Dominic Maker e Kai Campos, scovati e scritturati da una lama sempre più affilata come quella di Scuba, che senza pensarci due volte li ha prodotti con la sua hotflush Recordings.

Dopo due brillanti singoli ecco a voi l’album, Crooks & Lovers, una scatola magica nella quale i due astutissimi artigiani riversano il loro folto showcase, trasformando una serie di input provenienti tanto dal soul quanto dalle basse e sporche frequenze londinesi in un prodotto molto interessante e caleidoscopio.

Partiamo da quello che ne è l’esoscheletro, ovvero un taglio dubstep sulla programmazione delle ritmiche che delinea a grandi tratti una forma fatta di sincopi, contrattempi, battiti isolati e pause irregolari, tutto eseguito come da manuale.
Nelle parti melodiche avviene il vero gioco di personalizzazione che ne circoscrive l’origine, Maker e Campos sono abilissimi a comporre utilizzando note di piano, suoni 8-bit, sample orchestrali e cut-up vocali, riuscendo ogni volta a creare meravigliosi oggetti sonori densi di malinconia che sembrano voler descrivere una vita vissuta spiando da dietro una persiana.

A differenza del citato Burial c’è una propensione più solare ed un risultato sonoro molto appetibile anche per chi non è propriamente amante della dubstep e più in generale delle sonorità oscure. Diciamo che se la musica di Burial è la trascrizione dell’angoscia e delle sofferenze, quella dei Mount Kimbie è il racconto dei pochi momenti felici.
A parte la durata un bellissimo disco.