Noto ai più per essere il tastierista/pianista del quartetto Cobblestone Jazz, Danuel Tate approda con “Mexican Hotbox” all’album di debutto, dopo due sole precedenti uscite su Wagon Repair (i due ep “Push Card” del 2007 e “Doesn’t Like You Back” dell’anno scorso).
L’artista canadese mostra in questo album un approccio alla minimal techno totalmente originale e privo di ogni freno, dando spazio alla sua ‘follia’ ad ampio spettro e al suo estro creativo. Padronanza dei mezzi, abilità compositiva e fantasia musicale verrebbe da dire per cercare di restringere il cerchio.
In qualche modo vale il discorso fatto in sede di recensione per l’album dei dOP: musica inclassificabile, difficile da catalogare e da descrivere ma sicuramente affascinante e suggestiva. E solitamente, quando ci si trova di fronte a dischi contenenti musica imprevedibile come questi, il fatto di essere in difficoltà a trovare una loro adeguata collocazione musicale non può che essere un segnale positivo.
La miscela proposta da Danuel Tate si basa su frenetiche ritmiche techno che vengono mischiate, di volta in volta, con sonorità swing e jazz di inizio Novecento, innesti latini, atmosfere cinematografiche e moderne sonorità elettoniche: il tutto senza risultare forzato o artificioso.
Si parte con la techno dalle inflessioni latine della title-track “Mexican Hotbox” e si chiude con la cassa dritta di “City Kids”. Durante il tragitto vale la pena soffermarsi sulle citazioni ‘eighties’ di “If I Want To”, i ritmi marziani dell’unica traccia edita “Careful Mind” (tratta da “Doesn’t Like You Back”) e di “California Can Can” e le atmosfere techno-swing scandite dal vocoder di “Cinnamon Sugar”.
Che dire poi di un hit istantaneo come “Populatio” che, dopo un solo ascolto, faticherete a togliere dalla testa?
“Mexican Hotbox” è sostanzialmente il disco che ci aspettavamo da Danuel Tate: un album che si spinge ben oltre il lavoro fatto con i Cobblestone Jazz e riesce, in modo incredibile, a trovare un ottimo compromesso tra melodia e sperimentazione.