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Album Reviews /

Nicolas Jaar Space Is Only Noise

  • Label / Circus Company
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Gennaio 2011
  • Style / ,
  • Rating /
    10/101
Nicolas Jaar - Space Is Only Noise

Nasce a New York per poi trasferirsi e passare l’adolescenza a Santiago del Cile, dove al contrario di molti suoi coetanei impiega il suo tempo ascoltando Erik Satie. Meglio lanciare i sassi dal cavalcavia?
Aveva solo 14 anni quando ha cominciato a comporre musica Nicolas Jaar. Il tempo di crescere, l’università, di nuovo New York nella sua strada.
Wolf+Lamb, l’etichetta newyorkese sulla bocca di tutti, proprio lei, un ep di 5 brani, compresi i remix di Seth Troxler e Kasper. L’eco. Qualche magazine importante ad occuparsi di lui, ma Jaar, diciamolo subito, non è pasto per grandi folle, né per esaltazioni collettive, ce lo dimostra su Double Standard con un disco che doveva da subito mettere in chiaro le cose (Love You Gotta Lose Again EP) l’hype a volte sa essere una gran brutta bestia ed in alcuni casi, frainteso, è stato “venduto” a platee non del tutto consce del bisogno d’intimità e complicità che necessita la sua musica per far assaporare maturi i suoi frutti.

Nicolas non demorde ed il tempo accresce la necessità di concepire un album.
Ci spostiamo in Francia, dove il coraggio non manca mai, ad aprire la porta è la Circus Company, label che a ben vedere ha sempre osato, prendendo anche delle cantonate che la vergogna non sa in che maniera lasciare quelle mura. Però ha lanciato i Noze ed Ark, allora tanto ci basta.

Servivano delle idee, perché non fermarsi a pensare.
Cos’ho dentro? Quanto tempo ad ascoltare la tromba di Miles Davis, il piano di Satie, il synth pop di Bastian, l’house music di Matthew Herbert e perché no, gli stralunati remix di Andrew Weatherall in bilico tra i tramonti balearici e le esplorazioni spaziali di Armstrong?

Potrei limitarmi a scrivere che è tutto illustrato nei 5 minuti e 22 secondi di “Keep Me There”, la sintesi perfetta dell’anima, della mente e del corpo di Jaar, una stesura impegnata che sfrutta il beat regolare dell’house per rivelare a tutti quanto il suo suono vada oltre ogni apparenza, ne avrete conferma quando la tromba vi aprirà uno squarcio proprio all’altezza del cuore per poi strapparvelo e farlo danzare su quei magici, irregolari flussi.

Con continuità dentro “I got woman”, l’ammaraggio della calda voce a mò di crooner, il piano a donare una forma nonostante tutto ancora terrena e materiale, il beat rubato ad una session notturna del compianto J Dilla.

Un percorso organizzato per passi, partendo dalla perfetta introduzione di “Être”, sofisticata descrizione di un assolato/desolato pomeriggio sulla riva delle coste normanne, tra echi di schiamazzi infantili in lontananza, ben assestati accordi di piano, field recordings e microsuoni di “Plateauxiana” memoria ad arricchire il malinconico scenario. C’è molta malinconia in ogni scelta, dai toni vocali alla programmazione ritmica, tanto intricata ed efficace che sembra andar a sostenere ogni sorta di crollo emotivo. Un mood che cresce di intensità di brano in brano, passando con disinvoltura da rilassanti atmosfere quasi new age a dipinti sempre più accesi nelle tinte, come quelle di “Variations”, il brano più corpulento dell’album, costruito su vibrazioni di corde, una cassa profonda ed il cut-up vocale che è un chiaro omaggio ad alcune preziose gemme della Circus Company.

L’ultima traccia (^tre) è una splendida reprise del brano d’apertura e ci consegna un messaggio che non ha più bisogno di ulteriori chiarimenti, questa è musica per chi sa ascoltare, rischiare le proprie emozioni, immergersi senza veli. Interpretando, con l’esclusivo utilizzo delle proprie capacità.

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