Una delle cose più attese nei circoli underground era sicuramente l’album di debutto di Luca Mortellaro, un artista che partendo dalla piccola Italia ha sondato un passaggio parigino per poi approdare nel paradiso artistico per eccellenza (Berlino) e diventare uno dei nomi più caldi di questa stagione techno.
Un percorso dove la gavetta non è mancata, ed i suoi singoli hanno trovato ospitalità in un vasto raggio d’azione che è progredito da iniziali pulpiti legati in qualche maniera all’house alle attuali pulsioni di matrice dark che hanno definitivamente circoscritto un’entità stilistica basata sulla techno e sulla sperimentazione.
E’ fondamentale in tutto questo tirare in ballo la Stroboscopic Artefacts, label nata proprio per mano di Luca e portavoce di questa progettualità futurista che ci sta regalando grandissime interpretazioni techno oltre che dalla sua mente da quella di altri seminali artisti come Xhin, Donor e Perc.
Su tutto, un incredibile mix assemblato per il mixmag russo lo scorso dicembre dove Lucy ha sintetizzato in maniera perfetta la sua odierna visione musicale fatta di tecnicismi assoluti, oscurità, precisione ed atmosfere futuristiche.
Wordplay For Working Bees è la naturale estensione della sua natura così devota alla sperimentazione. Un album dove a convivere sono molteplici figure che vanno dal battito techno minimalista alla sound art intesa come scrittura per ambienti.
E’ tutto spiegato, e non sembrerebbe possibile, nel minuto introduttivo di “Thear” un centro nevralgico intenso dove sono concentrate tutte le sfumature di un suono che si libererà poi pian piano facendo cerchio intorno alla figura di un’artista complesso come non avremmo mai osato dire.
Una musica che è soprattutto concetto e segue percorsi inusuali, partendo nella maggior parte dei casi da grovigli inestricabili di metalli, synth alieni e battute isolate per poi districarsi pian piano e raccontare storie di volta in volta diverse.
“Tof” in questo è magnifica, un guscio che si schiude con lentezza, partendo da umori controversi e pieni di tensione per poi trovare vita in un tunnel temporale abitato da strane forme percussive e da lamenti a bassa voce.
Gli episodi techno sono autentici gioielli, nei 9 minuti di “Bein” è visibile in maniera netta e chiara la portata artistica di Lucy che dimostra con ulteriore sagacia come il suo stile unisca in maniera sorprendente groove e costrizioni millimetriche, regalandoci un suono che se da un lato ha tutta la voglia e la forza per strappare ogni catena, dall’altro si trova a fare i conti con una struttura rigidissima dove gli incastri sono materia d’indagine per la polizia scientifica. Trovate ulteriori spiegazioni in brani come “Lav” e “Eon”.
Oltre ogni previsione però il grosso del lavoro si svolge in territori diametralmente opposti al dancefloor. Parliamo con maggior precisione di non luoghi in quanto non terreni nei quali è ospitata una visione fuori portata dove convergono tutti i demoni di Lucy, dalle voci soffocate ai lunghi tappeti ambientali ben nascosti dall’incredibile mole di schegge, ortiche, metalli di ogni sorta.
Wordplay For Working Bees descrive in maniera oculata il suo mondo ed è un disco che esalterà all’eccesso soltanto i pari pensiero.