Nonostante il suo nome circoli da parecchi anni nei circuiti techno, con decine e decine di ep pubblicati su varie etichette con progetti differenti (e solo a partire dalla metà del decennio scorso con il nome Agaric), “Who Made Up The Rules?” rappresenta l’album di debutto per Patrik Skoog.
Attivo anche attraverso la sua etichetta We Are, fondata nel 2006, il produttore svedese (da qualche anno stabilitosi a Berlino come moltissimi dei suoi colleghi) debutta sull’etichetta di Josh Wink con le dieci tracce ‘deep techno’ qui contenute.
Techno solida e robusta, quasi sempre oscura, cerebrale, dilatata e caratterizzata dalla profondità degli spazi, da evidenti riferimenti ai suoni ‘classici’ provenienti da Detroit e da uno spiccato gusto per le sonorità atmosferiche in sottofondo, il tutto supportato da una produzione impeccabile.
Giusto una breve introduzione per entrare in sintonia, offerta dall’avvolgente spinta estatica di “Star Core”, ma la title-track “Who Made Up The Rules” è già dietro l’angolo e non lascia scampo, potente ed efficace certo, ma piuttosto prevedibile e puramente funzionale a riempire i dancefloor. Meglio concentrare l’attenzione su esperimenti più oscuri e deep quali la lenta tessitura ipnotica generata in “Nahua” o, ancora meglio, “No Way I Know I Feel” dove le atmosfere cupe vengono sottolineate da un parlato la cui voce suona minacciosa. “Run (Ostern Jam)” è l’esperimento più interessante, techno dubbata puramente astratta e mentale che ben si presta a tardi ascolti. “Metro” è un altro numero rarefatto, basato sulla stratificazione ritmica, che introduce il trittico conclusivo composto dagli avvincenti effetti vocali di “Inside My Head”, gli scontati tribalismi di “Shot By Light” e i groove minimali di “Drifter” (che si azzerano nella calma piatta della ghost track finale).
Un album al passo con le sonorità espresse in alcuni lavori attualmente in circolazione, allineato quindi per quanto riguarda la costruzione delle linee di basso ma contenente tuttavia (seppur in misura ridotta) alcune soluzioni interessanti nella costruzione delle architetture ritmiche: brani ben costruiti e adeguatamente sviluppati con un’attenzione particolare al groove (posto in primo piano) e alla qualità e all’intensità delle tessiture ritmiche (in secondo piano).
Non è certamente l’originalità la qualità principale di “Who Made Up The Rules?” ma, nonostante le idee non siano molte, il disegno complessivo risulta omogeneo e di buona fattura.