Partiamo dalla bella foto di copertina, una foto dal sapore vintage che niente ha a che fare con la musica qui contenuta, per niente solare e luminosa. Al contrario, musica oscura e ipnotica, ispirata tanto da drone, suggestioni ambient, sonorità minimal quanto da intricati astrattismi sonori, pur sforzandosi di trovare una via alternativa ai minimalismi di maniera.
Ma non si limita a questo la musica di Jacek Sienkiewicz, è molto di più, spesso ai limiti della classificazione nelle sue creazioni e nei percorsi indefiniti (e indefinibili) tra rumori e melodie che sanno molto di improvvisazione, nonostante l’album abbia richiesto un paio di anni di lavoro. Quasi una sorta di sfida all’ascoltatore in termini di facilità di ascolto e immediatezza, musica lontana da scontate sonorità minimal quanto da prevedibili soluzioni ritmiche e immediate linee di basso ad uso e consumo dei dancefloor.
Non certo l’ultimo arrivato Sienkiewicz, attivo dalla metà degli anni novanta nella sua Varsavia e per un certo periodo a Berlino (molto prima dell’attuale esodo di massa) con oltre trenta uscite tra album e ep nel curriculum, un’etichetta gestita da oltre dieci anni (Recognition) e il merito di essere stato il primo a pubblicare un intero album su Cocoon.
“On The Raod” è un album che però potrebbe finalizzare ancora meglio tutto quello che costruisce durante il suo svolgimento, con composizioni meno estese e più misurate per essere messe maggiormente a fuoco. Tuttavia, l’album riserva un discreto fascino e cresce ad attenti e ripetuti ascolti. Una sorta di concept incentrato sullo spostamento se analizziamo il titolo dell’album (e della maggior parte dei brani) e le due tracce di apertura e chiusura intitolate rispettivamente “Departure 11” e “Arrival 12”.
“On The Road Again” è un gioco ad incastri sonori, quasi un gamelan elettronico che sviluppa una vaga melodia e cambia direzione almeno tre volte, “Lost And Found” scorre liquida ma le cose migliori l’album sembra riservarle nel finale dove peraltro affiorano scampoli di melodia palpabile: le tessiture pulsanti di “Sing It”, l’inafferabile melodia astratta di “Peregrinating”, una sorta di lunga suite cosmica, e l’ambient atmosferica e introspettiva di “Arrival 12”.
Un album lontano dalle follie luccicanti e da certi manierismi di casa Cocoon, complessivamente non facile ma intrigante.