C’è un momento nel quale la techno smette di giocare, inerpicandosi in quello che è il ruolo tanto predicato da chi a questo genere ha dato una ragion d’essere disegnandone gli scenari e le possibili applicazioni.
E’ passato più d’un ventennio da quando nel quartier generale UR venivano rilasciati comunicati e dischi che contenevano un messaggio ben mirato, volto a scuotere le coscienze mostrando a tutti come questo porco mondo sta andando in rovina.
La musica veniva così investita di un primario ruolo politico e sociale, la musica era messaggera di speranza e spronava a far meglio, ad impegnarsi tutti sia politicamente che socialmente.
La techno era sembrato il linguaggio più forte e diretto per supportare le grida di una rivoluzione che nel suo piccolo intendeva preoccuparsi in maniera diretta delle faccende di Detroit ma che, ci si è poi resi conto, sfruttava un canale comunicativo con potenzialità planetarie come quello della musica.
Purtroppo, come ogni nuovo florido canale, anche quello legato al movimento techno, negli anni ha disperso il suo potere rivoluzionario tra le pieghe del business, lasciandosi sedurre dalle potenzialità che astuti promoter hanno trovato nella versione borghese del suono originario, in una sorta di reinventata struttura ad uso e consumo del bel mondo, del mondo che vive di mode, di fashion business, di party business, di masse abituate a credere che l’accostamento della cassa con 2 maracas sia l’apice massimo del suono che un tempo era un tempio invalicabile che amava rinnovarsi tramite l’ispirazione di chi vedeva il mondo con gli occhi della semplicità, carpendone i problemi e cercando di comunicare sia il problema, sia la soluzione attraverso la techno.
Cos’è rimasto di tutto ciò? Poco, molto poco, da una parte perché le energie che un tempo dominavano questo sistema sembrano essersi placate, dall’altra perché in qualche maniera ci troviamo di fronte ad un sociale nettamente diviso tra chi è riuscito ad adagiarsi sui modi di vivere facili ed omologati riscontrabili in maniera pressoché identica in tutto l’occidente, e chi invece è talmente impegnato nel risolvere i propri problemi che ha dovuto persino abbandonare la musica (non è un caso che gli attuali insormontabili problemi della città di Detroit siano coincisi con un lento lascito da parte delle forze UR e di quasi tutti gli altri adepti, molti dei quali rigenerati dal bel vivere europeo che gli ha fatto capire che forse era il momento anche per loro di godersi quei 4 soldi che qui da noi ancora girano).
Tutta quest’introduzione era quindi necessaria per cercar di preparare e predisporre le vostre menti al racconto che segue, quello che parla di un giovane partito dal Libano con in tasca una sana voglia di fare e con in mente un ideale fatto di libertà e voglia di raccontare il mondo attraverso la musica. Senza tralasciarne i problemi, anzi descrivendone le sagome per poi dipingerne i dettagli e suonarne un grido d’aiuto tanto semplice quanto incisivo.
Rabih Beaini ci prova inizialmente dall’Italia, fondando la Morphine Records e rilasciando un catalogo di 10 incredibili dischi molti dei quali firmati dallo stesso con gli pseudonimi Morphosis, Ra.H ed in gruppo con la Upperground Orchestra.
Inutile dirlo, quella musica è quanto di più profondo si possa immaginare, ed è allo stesso tempo un suono visionario, spaziale, astratto, come lo erano le idee e la musica di Sun Ra, fonte alla quale l’uomo di continuo ricorre come a placare la sua rabbia, ritrovando come unico canale comunicativo la musica.
Rabih ha lavorato a lungo su di sé, accumulando esperienze che sono servite a rafforzare le sue idee e di conseguenza il suo suono, che con il passare del tempo ha assunto quella che è la forma più ambita di ogni compositore con determinate idee, la libertà.
Riuscire a produrre una musica libera ed incondizionata è ancora oggi l’unico modo per riconciliarsi con gli originatori, riportando quindi il senso stesso della produzione in un contesto che inconsciamente ha forza politica e sociale. Questo è esattamente quello che è successo con What Have We Learned, album di debutto di Morphosis realizzato grazie alla collaborazione di due tra le entità techno ed house europee di maggior peso: la Delsin e la M>O>S, etichette olandesi ormai portavoci si messaggi musicali di incredibile fattura.
What Have We Learned è fuori da ogni altra possibile definizione un album techno. Il grosso del lavoro di Rabih è stato quello di raffinare un’onda sonora lavorandola per anni, fino a giungere ad una gamma personale nella quale potersi sentire completamente indipendente e sicuro di realizzare qualsiasi cosa.
A questo punto non serviva altro, e l’unica cosa da fare era cominciare a raccontare tutto quello che è accaduto negli anni, tradurre in musica le sensazioni registrate durante i viaggi, i problemi affrontati, risolti e non, le possibili traiettorie da intraprendere, le ingiustizie e perché no, anche la felicità.
Pensate questo disco come un contenitore di storie, ed una volta tanto cercate di abbandonarvi all’idea che un album di musica techno possa far funzionare il vostro cervello, è carino ogni tanto sapere che anche il vostro può funzionare. Lasciate quindi da parte ogni sorta di pensiero superfluo, questa sera si riflette! Wow!
E non preoccupatevi, non c’è nessun libro da leggere, c’è soltanto d’ascoltare musica, e che musica! Un suono che inizia con l’apertura della sacra porta di “Silent Screamer” ed il consecutivo arpeggio di corde che vi farà vibrare direttamente il cuore, trascinandovi con i suoi profumi d’oriente per le strade affollate del centro di Beirut, proseguendo poi per i vicoli del mondo, dispiegando visioni lungo tutto il cammino e sorreggendovi con la forza incredibile delle percussioni e di nuovo scaldandovi l’animo con una melodia talmente penetrante da lasciarvi sbalorditi.
“Spiral” è un racconto di guerra che infonde speranza, è un’autentica spirale rimico/ipnotica che travolge ogni cosa al suo passaggio, qualcosa di così forte ed intenso da procurarvi un senso di smarrimento.
Quel che riesce a creare Rabih con una 808 è qualcosa di incredibile.
Dopo 2 brani sarete già nel centro di un racconto magico e trainante, qualcosa che vi darà il coraggio d’andare avanti ed arrivare dritti in un brano come “Too Far”, un autentico miracolo, qualcosa che unisce le vibrazioni del brano d’apertura alla potenza ritmica del secondo e, non ancora soddisfatto, ad un vocal femminile da pelle d’oca. “Too Far” è di gran lunga uno dei brani techno più impegnati degli ultimi anni e suona come solo la grazia divina…
In tutta la distanza corre una consapevolezza psichedelica, qualcosa che si può riscontrare proprio nella messa in opera delle rifiniture percussive, in quella specie di raddoppi o meglio orpelli presenti in ogni brano e che uniti alle variazioni tonali dei synth proprio come nell’esempio di “Androids Among Us” ricreano quella visione spaziale priva di coordinate accostabile proprio alla musica di Sun Ra. Un viaggio che poi torna a farsi terreno nella successiva escursione orientaleggiante di “Gate Of Night” ed ancora assume sembianza “soundtrackistica” nella bellissima “Kawn” con il suo organo spettrale ed il suo gioco di piattini in superficie.
Su tutto un finale come “Europa”, un lento inesorabile battito che segna il tempo di un piano delicato e di un bouquet di suoni ricchissimo che và avanti incontrastato fino alla pausa ed al finale con il solo di chitarra.
Se mai aveste bisogno che mi sbilanci ulteriormente, What Have We Learned è indiscutibilmente l’album che marchierà a fuoco quest’anno ed anche quelli a venire. Qualcosa di imprescindibile.