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Album Reviews /

Arnaud Rebotini Someone Gave Me Religion

  • Label / Black Strobe Records
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Maggio 2011
  • Style / , ,
  • Rating /
    10/101
Arnaud Rebotini - Someone Gave Me Religion

I primi 13 minuti di questo disco basteranno a farvi compiere un viaggio senza eguali e giustificheranno da soli i soldi che sborserete.
Un brano dal titolo inequivocabile: “The First Thirteen Minutes of Love”, qualcosa che descrive perfettamente il rapporto d’amore tra l’uomo e le macchine,  una lenta evoluzione analogica che emana calore e suoni emozionanti, uno di quei brani che vi riporta indietro di 30 anni per omaggiare la scena cosmica tedesca e perché no, per omaggiare anche i grandi compositori francesi che sul finire degli anni’ 70 hanno fatto il bello ed il cattivo tempo nell’interpretazione di musica cosmic disco.
Un brano che soprattutto rende ancor più palpabile la passione e la visione di un artista troppo spesso decontestualizzato, forse uno a cui piace l’attenzione, vero, ma che negli anni ha ampiamente dimostrato quanto i suoi suoni siano sinceri, frutto soprattutto di idee e di emozioni, oltre che di una capacità tecnico/compositiva ormai ben salda che punta tutto sulla strumentazione analogica.
Arnaud Rebotini è uno di quelli che ancora suona i suoi dischi.

“Another Time, Another Place” torna nel luogo del delitto che ha fatto grandi i Blackstrobe, l’electroclash, dove però, fate attenzione, a sciorinare queste sonorità per alcuni versi “cafone” c’è qualcuno che sa da dove prendere e come dare. Un punk autentico, uno tinto di nero quanto basta per inserire soltanto ciò che serve nelle sue melodie, che infatti suonano proprio come dovrebbe essere, groove, tecnica, energia.

Energia riversata nel pieno della forma anche alla successiva “Personal Dictator”, altra prodezza electro dai suoni tiratissimi adatta per scardinare anche le piste più dure, che tra le altre cose si concede anche un eco melodico ad alto tasso evocativo che continua poi nella successiva “Another Dictator”, tingendo di nero tutte le pareti e regalandoci quello che è un pensiero tipicamente “rock”.

Mentre “Echoes” lascia partire altre pennellate melodiche su una struttura ritmica quasi tendente all’house, la successiva “All you need is techno” capovolge il fronte serrando il ritmo e costruendo un muro di suoni elettronici persi tra riferimenti old-school e soluzioni elettroniche più avveniristiche. Una bomba da suonare in piena notte quando i corpi sono già su di giri. Stop e ripartenza da grande slam della techno.

“Who’s GonnaPlayThisOldMachine?” è forse uno dei brani più belli, una ballata electro/techno da luna piena, persa tra ululati, nenie e ricordi di qualcosa che sappiamo, ci mancherà.

L’atterraggio viene affidato alle corde ambient di “The Choir Of The Dead Lovers”, le macchine lentamente vengono domate, regalandoci un finale contemplativo ed armonioso.
Rebotini non ne sbaglia più una.

n.b. non vedevamo un profilo così bello dai tempi di Elvis.

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