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Album Reviews /

Gus Gus Arabian Horse

  • Label / Kompakt
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / May 2011
  • Style / ,
  • Rating /
    8/101
arabianhorse

Sembrano lontani i tempi di “Forever”, il punto più basso della parabola artistica dei Gus Gus, dopo tre buoni album incisi tra il 1996 e il 2002 (“Polydistortion”, “This Is Normal” e “Attention”). Non gli ultimi arrivati, dunque, e con una loro precisa storia alle spalle, il cui nuovo capitolo cominciato due anni fa con l’accasamento presso la prestigiosa Kompakt e la brillante ripartenza con “24/7” si arricchisce di “Arabian Horse”, settimo album in studio, registrato in un isolato cottage solamente con voce e macchine analogiche nel bel mezzo del nulla islandese.

 

L’inizio di “Selfoss” è un numero di ambient, classico brano d’apertura, tre minuti introduttivi con un’esplosione di suono che rientra e lascia spazio ad una bizzarria tipicamente islandese: un’inedita apertura est-europea palesemente fuori contesto.

Questi sono i Gus Gus, capaci di grandi invenzioni ma di altrettanti scivoloni.

E’ tuttavia “Be With Me” la vera porta di ingresso dell’album in cui fa la sua comparsa la voce di Daniel Agust, rientrato in formazione in pianta stabile due anni fa, punto di forza della band in grado di fornire, attraverso la sua voce, profondità e calore; vertice imprescindibile nell’equilibrio costituito da Agust, Biggi Veira e President Bongo.

“Deep Inside” arricchisce le sue profondità progressive di altre voci, altro importante punto di forza di questo lavoro: dal contributo di Hogni Elisson al grande ritorno dell’affascinante voce soul di ‘Earth’ Hakonardottir, fondamentale nel suo apporto in “Arabian Horse”, title-track dell’album. 

La parte centrale dell’album rappresenta sicuramente la vetta espressiva, brani come “Over”, “Within You” (notevole, ma procuratevi il remix dubbato tutto echi ad opera del solo Veira, superiore all’originale) e la title-track, pur costruiti con un’enfasi da esibizione live, lasciano il segno.

Il resto tiene, nonostante la caduta di “Magnified Love”, e conduce fino alla preziosa, lenta chiusura di “Benched”, confermando l’impressione che con questo album i tre islandesi abbiano trovato la chiusura del cerchio. In “Arabian Horse” ci sono tutti gli ingredienti principali della musica dei Gus Gus: inclinazione per la melodia pop e slancio progressive verso un glamour e una sensualità tipicamente nordica.

 

I Gus Gus giocano a saltare continuamente al di qua e al di là di quella linea che separa pop di nicchia e mainstream pop riuscendo comunque a fondere entrambi, seppur con la netta prevalenza di quest’ultimo.

Certo, se il pop di alta classifica fosse questo, forse il mondo sarebbe migliore.

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