Quando in febbraio scese dal cielo “Strung Valve Checkout” a bordo di un vinile di colore rosso i ghiacci si sciolsero rivelando una nuova vita che emetteva battiti pian piano più forti, dipingendo uno di quei scenari di secolare rimembranza.
Scoprimmo soltanto in seguito la paternità di quel parto, quasi rasserenandoci del fatto che quegli input venivano da molto lontano.
Psychick Warriors Ov Gaia e Black Dog, pronunciarli fa quasi paura, loro sono la paura. Sei teste di serie riunite in un progetto che aspettava soltanto d’esser messo insieme, un bagaglio culturale che ha scritto pagine e pagine di storia diventando simbolo ed argomento di studio per quanti nel tempo hanno tentato l’avventura della techno e dell’ambient.
I Black Dog ci davano segnali già da qualche tempo, recentissimo è infatti il loro splendido triplo vinile dal titolo Music For Real Airport, composto nei tempi morti del loro tour mondiale proprio nei vari aeroporti che hanno ospitato il loro passaggio. Un disco che è classe e classe rimarrà, pura ed incontaminata.
I PWOG latitavano invece da anni, dopo aver disseminato musica tra la più acuta ed intelligente che si possa immaginare, una vera e propria orchestra psichedelica per suoni techno.
Ora l’album, annunciato già da qualche tempo sul loro curatissimo sito, ed è di nuovo la magia ad accompagnarci in questo lunghissimo viaggio crepuscolare.
Sei brani, proprio come i sei membri del gruppo, un impianto drone che scivola leggiadro lungo l’intero percorso ed una visione che se ben fotografata restituisce in pieno un passato così carico d’energia e di idee d’aver bisogno ora di un meritato riposo.
Sono tenui gli ingressi dei numerosi bagliori che intervengono nelle stesure, piccole luci, scariche elettriche, semplici tic che accompagnano questo corpo sinuoso ed elegante che sembra descrivere il profilo maturo di un uomo che ne ha vissute tante, e che ora guarda dall’alto con sicurezza, disinvoltura e consapevolezza di aver ancora tante cose da dire.
L’orchestra lavora in maniera impeccabile bilanciando perfettamente i vari elementi, trovando la misura di ogni fonte sonora, che in questo caso subisce una lavorazione di cesello al fine di risultare meno invadente possibile. Non è infatti distinguibile, per l’intera durata del disco, una forza predominante che caratterizzi musicalmente il lavoro.
Il totale è dato dalla somma delle parti in un ingegnosa progettazione che qui ci conduce in un viaggio dove il dettaglio è rintracciabile in ogni minima variazione sonora.
Ed ancora, i più acuti sapranno setacciare le ceneri di qualcosa che è stato ritmo, groove e speranza, riuscendo a rendersi conto di come questo suono sia figlio legittimo di idee rivoluzionarie che prima di ogni cosa hanno voluto soddisfare la grande sete di futuro che questi artisti hanno sempre avuto.
Se oggi questo corpo è così evoluto e sofisticato dobbiamo cercarne le ragioni negli anni di fuoco, quel fuoco che non ha esaurito il suo calore ma ha soltanto cambiato la forma, mostrandosi adesso come un compiuto ed eccitante viaggio attraverso menti il cui genio non sarà mai riconosciuto abbastanza.
La Dadavistic Orchestra è composta da: Martin Dust, Tim Freeman, Richard Dust, Arbe, Ken Downie & Robbert Heijnen.