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Album Reviews /

Solyst Solyst

  • Label / Bureau B
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Agosto 2011
  • Style / , ,
  • Rating /
    9/101
SØLYST - SØLYST

Dopo anni passati a suonare percussioni nelle fila dei Kreidler, gruppo tedesco autore di molteplici album elettronici con piglio eclettico e sperimentale, Thomas Klein arriva all’album di debutto a nome SØLYST, un disco sudatissimo nel quale Klein riesce a far convergere le varie ispirazioni che nel corso degli anni è riuscito ad assorbire e rielaborare. A far da padroni sono i ritmi tribali sapientemente assemblati dall’uomo tramite la batteria elettronica, ritmi che cercano ossessivamente una forma ipnotica avvolgente che sorreggerà il tutto dall’inizio alla fine dell’album.

La ricerca sonora è di gran livello, innumerevoli suoni e sfumature che rendono le composizioni organiche e ricche di fascino, in un contesto d’ascolto nel quale potersi arricchire letteralmente, vagando in queste strutture libere nelle quali a trovar sfogo sono suoni urbani provenienti da tutto il mondo. Prendendo in esame un brano come “Optimyst” ad esempio è palese come in un singolo brano Klein abbia riversato più fonti sonore, dalle melodie mediorientali all’estetica dub fino ad oscuri presagi elettronici di matrice chiaramente teutonica. Un tipo di scrittura che ritroveremo costantemente nell’album, e che ci fornisce diverse chiavi di lettura. La prima denota sicuramente una matura capacità compositiva, che partendo dalla stesura del ritmo (cosa nella quale è maestro) riesce ad offrire incastri sonori particolarissimi e dettagliati, lasciando intendere quanto la forma conti poco nella sua visione delle cose, o meglio quanto la forma sia soggetta a variazioni. La seconda è che appunto questo lavoro non ha seguito alcun concept, si è invece formato seguendo l’istinto senza particolari costrizioni.

SØLYST suona quindi come un laboratorio tribale aperto a tutte le possibili contaminazioni, siano esse sciamaniche come nella bellissima “Hoorn Of Plenty” e nella oscura ed evocativa “Cape Fear” o più apertamente kraut come nella fuga cosmica di “Kelpie” o “Dim Lights”. Quel che appare evidente sin dal primo ascolto è la sensazione di aver tra le mani un cd finalmente pregno di ottimo materiale d’ascolto, lontano dal trend riduzionista che ormai sembrano aver intrapreso molti compositori elettronici e quindi saturo di idee, arrangiamenti, suoni, soluzioni sonore. Un merito grandissimo direi, che ci lascia di stucco nel pensare la realizzazione affidata ad un singolo individuo.

Il consiglio è quello di lasciarvi sedurre da questa impostazione sonora che continua a liberare i suoi frutti anche dopo molti ascolti, tanti sono i segreti covati all’interno delle singole tracce. Un album di spessore assoluto che non faticherà a trovare posto nella vostra playlist annuale.

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