D’un tratto, la musica di Jasper TX ha chiuso le porte in faccia a tutti, non che prima fosse stata così esplicita e spigliata nella comunicazione, ma in questo “The Black Sun Transmissions” v’è una severa chiusura nei confronti dell’esterno che l’ascolto di questo album rischia di diventare uno dei percorsi più ostici verso l’anima di un compositore che mai come ora ha serrato ogni spiraglio ad occasionali curiosi.
Cosa significa questo? Nient’altro che per poter entrare nel nucleo del lavoro c’è bisogno di menti disposte ad abbandonare tutto per dedicarsi completamente all’accecante bagliore che questa nera energia riesce ad emanare.
Il passaggio dal mondo terreno avviene parafrasando una sorta di caos ribollente che ci accoglie nei sei minuti abbondanti di “Signals Through Woods & Dust”, trainati nelle fondamenta da accenni di piano probabilmente “pizzicato” sulle corde, movimenti di crosta terrestre, segnali radio provenienti da vite parallele ed un manto di rumore grigio che lascia in lontananza anche gli ultimi tentativi di riconciliazione con la vita reale.
Basta poi entrare in questa bolla sospesa tra i mondi per trovare testimonianza di una nuova vita che cresce prepotente nel decollo di “Weight Of Days”, un emozione che sale sin dal primo accordo sfocato che senza mai trovar posizione du un’asse definito dà vità ad una di quelle secolari intuizioni melodiche capaci di far volare la mente in quel fantastico posto che non saprei non chiamare infinito. E’ il violoncello di Aaron Martin che taglia in due ogni esistenza lasciando volteggiare nell’aria solo lacrime e malinconia.
E’ un suono che riesce a condensarsi sin da subito grazie ad un’accurata progettazione nella quale Jasper riesce a convogliare numerosi strati sonori creando un unico spessore a grana fine dentro il quale è distinguibile ogni singola forma di vita. Non materiale inerte, ma microcosmi in accoppiamento pronti a generare una nuova vita ancora più intensa e ricca di materia da esplorare.
Non c’è da far altro che abbandonarsi, come nei ventuno minuti di “Shores” dove i droni pascolano controllati mentre al di sopra è tutto un inizio, un parto di piccoli ma preziosi frammenti che si stagliano sul percorso cementandone il corpo.
In cuffia, perché non c’è modo migliore per apprezzare un album così fragile da richiedere una serrata “selezione all’ingresso”, ma che al suo interno saprà farvi viaggiare di un distacco così veemente da togliervi ogni equilibrio.