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Album Reviews /

Planetary Assault Systems The Messenger

  • Label / Ostgut Ton
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Ottobre 2011
  • Style /
  • Rating /
    6/101
Planetary Assault Systems

Quello che abbiamo identificato come il progetto techno più sfrontato mai pubblicato dalla Peacefrog Records, un percorso lungo tre album e svariati singoli dentro un utopia sonora tipicamente uk. Luke Slater ad orchestrare una manovra sofisticatissima in un rinascimento techno che vedeva all’epoca illustri protagonisti arrivati nella maggiorparte dei casi intatti ai giorni nostri, pensate a Surgeon e Regis su tutti.
Tre album per certi versi fondamentali, questo perché la maniera con cui Slater è riuscito ad unire minimalismo, groove e sperimentazione ha forse pochi eguali nella storia che stiamo raccontando, chiudendo quello che per noi rimarrà il cerchio perfetto proprio nel lontano 2001.

Dopo anni di fermo, il progetto è tornato alla luce nel 2009, grazie alla spinta techno della Ostgut Ton, label che ha bisogno di poche presentazioni e che ben si adattava ad una trasposizione temporale del suono targato Planetary.
Esce così un primo album: “Temporary Suspension” nel 2009 e le differenze col vecchio suono di Slater erano precepibili soltanto in quella che possiamo definire un’industrializzazione del suono, un album che fatti i conti è sembrato una sorta di forzatura stilistica tesa a far entrare il disco in quei ranghi ben corazzati che delimitano i confini techno della Ostgut. Musica senz’altro solida (sarebbe stato assurdo anche soltanto ipotizzare il contrario) ma che manca di quell’urgenza creativa che ha caratterizzato il primo tempo dell’assalto planetario, arrivato a toccare in più casi confini trance, funk e broken beat.

Ora il nuovo capitolo dal titolo “The Messenger”, un lavoro che nel complesso compie un salto in avanti rispetto a Temporary Suspension, se non altro per la diversificazione della gamma di suoni utilizzati, cercando di riallacciarsi ad un concetto di techno più libera e meno inflazionata. Di fatto però la lunga distanza pone ancora in sofferenza Slater che non riesce ad esprimere su tutta la lunghezza idee convincenti.
Sono molti i brani sui quali poter tranquillamente passar sopra, fermi su un ridondante e poco originale groove che non aggiunge niente alla materia. A differenziarsi invece brani come la “millsiana” “Human Like Us” e la successiva “Bell Blocker”, brano techno caratterizzato da suoni di campanacci contrapposti ad un serrato ritmo sotterraneo ed ancora la cattivissima “Rip The Cut” che travolge ogni cosa a suon di scariche elettriche che esplodono poi in una techno minimale ed estremamente ipnotica.
In chiusura ancora una nota positiva per “Black Tea” che aggiunge al discorso una nota acida che forse avremmo voluto più sviluppata nel corso dell’album.
Se avete i primi tre potete dormire sonni tranquilli.

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