Quella di Fjordne è una storia che va studiata con cura, partendo da quel magnifico album che è stato “The Setting Sun” pubblicato ormai tre anni fa sempre per la Kitchen records, piccolo gioiello di label che non avrei mai immaginato potesse risiedere a Singapore. Una label che cura il dettaglio in maniera casalinga e se vogliamo noir, presentandosi con un sito internet che è un piccolo gioiellino di estetica minimale e tipografica.
Un percorso, dicevamo, che vede come unico fautore il nome di Shunichiro Fujimoto, musicista che ora più che mai si ritaglia un posto di assoluto rilievo nel panorama classico contemporaneo, quello in combutta con l’elettronica ovviamente.
Innanzitutto va detto che questo terzo album ufficiale (esiste dell’altro materiale stampato in edizioni limitatissime e stampato su Cdr) si basa su un romanzo di Charles Dickens del 1861 intitolato “Grandi Speranze” e segue la narrazione della storia evolutiva dell’orfano Philip Pirrip considerato da molti una sorta di alter ego dello stesso Dickens per i tratti quasi autobiografici rivelati nella storia. Una storia riportata in musica con una vicinanza melodica eccezionale grazie ad un accurato lavoro al pianoforte oltre che da una tessitura elettronica intricata quanto tremendamente delicata.
Sono certo basti un brano fondamentale come “Gathering” per farvi innamorare perdutamente di questo istinto compositivo così profondo e così vicino all’essere carne ed ossa. Accordi magici accarezzati dalla brezza dell’elettronica per sporcarne appena il fondo, un ingresso rispettoso e guardingo che mai oserebbe intralciare quel commovente sospiro che il pianoforte rilascia svuotandosi l’anima.
Come non parlare poi della successiva “Awakening”, memore delle lacrime appena versate e quindi cinica nel farci riversare ancora cristalli di gioia, questa volta accompagnati, come a sostenerci le membra ormai prive di forza, dalla batteria squisitamente jazz che batte nel rullante e nei piatti trasportandoci con quel battito libero e pieno di forza.
Sono pochi e selezionatissimi i suoni che intercorrono sulle composizioni di piano, piccoli oggetti metallici, ferraglia vintage, registrazioni naturali e favoloso noise elettronico ad arricchire nel dettaglio quei microscopici anfratti che vengono a crearsi tra le pieghe delle note.
Rapportare tale bravura ad un giovane di trentun anni sembra assai difficile in questi tempi, soprattutto per il sentimento, la dolcezza e l’immedesimazione espressi in maniera così chiara e naturale, e per quell’attitudine jazz riscontrabile in ogni sezione del suo lavoro, da quella puramente melodica e compositiva volta a stupire con l’utilizzo di poche note talvolta ripetute in maniera ossessiva, a quella ritmica e di gestione delle particelle elettroniche qui con un approccio free che vorrebbe vederci sognare storie che non esistono.
Se ci mettiamo poi che la Kitchen ci consegna un packaging al solito curatissimo (peccato soltanto per la mancanza del formato vinile) e che il resto dei brani in scaletta seguono senza un solo calo di tensione i due descritti in precedenza, direi che ci sono i presupposti perchè questo lavoro finisca dritto dritto in casa vostra.