Questo è senza alcun dubbio il primo album che mi ha rapito completamente in questo inizio di anno.
Cominciavo infatti a preoccuparmi del fatto che oltre a qualche buon Ep ancora latitava il lungometraggio da ascoltare e riascoltare in queste lunghe giornate invernali. E la questione è resa ancor più calorosa dal fatto che a concepire il disco troviamo un’indimenticata fuoriclasse come Andrea Parker.
Quanto ci sei mancata!
A dar manforte alla Parker uno dei nomi electro più sotterranei, quello di Daz Quayle, meglio conosciuto con lo pseudonimo di IL.EK.TRO., sigla condivisa insieme al suo compagno di merende Carl Finlow con il quale hanno dispensato sciroppi electro ad alto potere curativo.
Un progetto ambizioso, quello di reinterpretare una serie di brani composti dalla musicista inglese Daphne Oram, una delle donne più influenti nell’ambito della musique concrète, inventrice della tecnica “Oramics” un sistema di composizione su pellicola 35mm dalla quale vengono poi generati dei suoni, ed è una delle prime compositrici a scrivere un’intera colonna sonora con sole fonti elettroniche per la BBC nel 1957.
Premetto che non conosco alcuna delle songs originali, e che ho conoscenza scolastica di quello che è stato il suo suono, ma poco conta di fronte al flusso manipolato secondo la visione di questi due moderni sperimentatori.
La linea è quella dell’oscurità, di segmenti elettronici, elettrici, metallici e sintetici che attraversano un lungo tunnel pervaso da forze electro e sinistri antri sperimentali. L’iniziale “Women’s Hour” è un introduzione tenebrosa tra registrazioni di voci femminili, fantasmi che aleggiano nell’aria, stridori metallici ed ansia gassosa spruzzata dall’alto.
E’ solo l’ingresso per le tenebre.
Il cammino è lungo e tutto in discesa, una discesa che spavalda corre incontro al buio ed all’insicurezza, armandosi di gong metallici, riverberi amplificati, covanti voci soffuse ed ancora veli di synth appena accarezzati. E’ un suono che sembra circondarti, ti tiene stretto tra le sue spire alzandoti il battito e tenendoti in tensione continua grazie all’inserimento di frammenti sonori, ancora tremanti voci e note d’organo che rimbombano la loro potenza tutto intorno.
C’è molto dello spettro sonoro della Parker, una stesura che in qualche maniera ricorda quel meraviglioso album che è Kiss My Arp, considerando il fatto che qui sembra di camminare incolonnati proprio al suo funerale.
Nei quattordici minuti di “Frightened of Myself “ trovate un mondo tutto da scoprire, una magnifica avventura scritta tra le pieghe dell’ambient e dell’electro più sperimentale, con architetture sonore sofisticatissime ed un senso melodico così vicino al cuore ed alla mente.
Un disco scritto da fuoriclasse assoluti, che sanno in che maniera far volare il suono e soprattutto sanno come veicolare le lunghe distanze con le quali si sono cimentati, senza cadere nella trappola del loop ma modificando di minuto in minuto le loro stesure.
Il lunghissimo viaggio di “Are you there? (live from the soundhouse)” (ventinove minuti) è testimonianza diretta di quel che sto scrivendo, un lungo volteggiare di battiti electro, inserimenti elettrici e mutanti suoni elettronici nella parte centrale mentre agli estremi si sviluppano rispettivamente intro ed outro tra banchi di droni, registrazioni sfocate e voci in delay.
Più avanti, in “Ghost Hamlet” avviene una di quelle stupende “conversazioni” electro che fanno l’occhiolino alle dinamiche hip hop sperimentali in un contesto di musica che immaginerete appartenere ad un altro pianeta.
Il finale è la paura resa suono, un segmento maledetto e maledettamente attraente, è sudore freddo ed irrinunciabile masochismo, è l’espressione di due dannati come Andrea Parker e Daz Quayle.