I norvegesi Jostein Dahl Gjelsvik e Rune Andre Sagevik continuano nel loro percorso di esplorazione degli spazi con il progetto Pjusk. Due album all’attivo con la veterana 12k records, in entrambi i casi album delizioni con un sound design minimalista ed un occhio di riguardo alla cura del dettaglio. Un suono che ha convinto in tutto e per tutto la romana ed ormai solidissima label Glacial Movements, quel piccolo miracolo gestito e portato avanti da Alessandro Tedeschi (produttore per la stessa con lo pseudonimo Netherworld).
La sensazione che possiamo avvertire non appena concluso l’ascolto di Tele, questo il nome dell’album, è una variazione sull’asse portante della label, che fin’ora aveva offerto materiale con spazi molto più lunghi ed atmosfere così dilatate da apparire a volte inafferrabili.
I Pjusk invece lavorano su quello che è il concept stesso dell’etichetta, ovvero quello di sonorizzare panorami e distese immaginariamente ubicate in scandinavia, con un modo di operare diverso, ricorrendo (e qui la sorpresa più grande) ad una sonorizzazione ambient che ci riporta indietro nel tempo, in quel magico periodo che sono stati i ’90 nel quale era ancora forte quel senso di appartenenza alla melodia, nel quale non si era soliti sottrarre ma se mai aggiungere. Certo, non siamo al livello di organicità di certe opere per sintetizzatori offerte in quel tempo ma è comunque forte il lavoro compositivo che riesce in tutto e per tutto a trovare l’equilibrio tra l’attuale design sonoro degli spazi ed una certa estetica evocativa.
La forza di questa musica è proprio nel connubio tra le scale melodiche, i tappeti di synth ed i potenti battiti dal basso che in un episodio come “Kristall” arrivano a toccare la musica celtica rendendola linfa nuova ed estremamente oscura. Un disco molto eterogeneo, con continui cambi di direzione che muovono pur sempre pedine dai toni di grigio. Il secondo brano, “Gneis” per esempio è una stanza chiusa e buia popolata da strati di suono messi in gioco per far salire la tensione mentre dalle pareti rimbalzano echi di suoni alieni che sembrano muoversi con molta lentezza.
I loro paesaggi devono averli visti sicuramente di notte, quando ad interrompere i silenzi ci sono tutte le voci ed i rumori delle ore tarde. Questa musica vive e risplende proprio in quei segmenti orari, liberando continuamente suoni differenti ma dal forte potere evocativo che visti dall’esterno e nell’ottica complessiva dell’album lo rendono uno dei capitoli più ricchi e succulenti dell’intera collana. Sicuramente ci troviamo di fronte ad un linguaggio che parla in maniera differente ma che tiene sempre in primo piano quello spirito evocativo che pervade l’ascoltatore capace di viaggiare con la mente.
Tele è un disco bellissimo, da ascoltare in cuffia, possibilmente al buio dei propri pensieri.