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Album Reviews /

Ital Hive Mind

  • Label / Planet Mu
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / 03/2012
  • Style / ,
  • Rating /
    8/101
Ital

C’era molta attesa da parte dei connaisseurs riguardo a questo disco firmato Ital, al secolo Daniel McCormick, che esce per la Planet Mu.
Il nostro si era già saputo mettere in buona luce per i lavori precedenti, più legati ad altre forme musicali, sotto i nomi “Mi Ami” o “Sex Worker” per un’altra etichetta, la Not Not Fun. Ora propone un nuovo lavoro, costituito da 5 tracce piuttosto lunghe, in media una decina di minuti ciascuna, che cambia radicalmente la rotta seguita.
O, meglio, ne propone un’ennesima.

“Hive Mind”, a scanso di equivoci, è un disco che flirta molto con la house, a cui deve quasi tutta la costruzione ritmica solida e regolare. Quello che invece non ci si aspettava è l’estrema (direi forse, esagerata) apertura verso orizzonti sonori più sperimentali ed eterei. Qualcuno ha parlato, a sproposito, di ambient. E’ vero che si tratta di un sound che a volte perde la propria forma e si lascia andare, o trascinare, verso l’ascoltatore, in un modo vago e poco definito, ma dubito che l’obiettivo di Ital fosse quello di mettere in piedi un disco di house-chillout da “contorno” per qualche dj-set furente.

In effetti c’è piuttosto un evidente intenzione di ricerca, quasi un impulso al gioco, il cui risultato a volte funziona bene, a volte lascia un po’ a desiderare. Si ascolti il primo brano, “Doesn’t matter (if you love him)” e si capirà immediatamente: innanzitutto il loop, reiterato all’infinito, di una voce che ripete il titolo della traccia in modo asincrono, spiazzante, costruito a pennello per sembrare gestito in modo casuale ma non troppo. Poi effetti quasi banali che accompagnano l’andamento strutturato del beat, affiancato a sua volta da una linea di basso molto potente che caratterizza il brano intero.

Tutto sommato, però, la cosa ha un suo senso portante. Così come hanno senso i brani successivi, dove troviamo momenti anche migliori, che culminano con la bella “Floridian Void”, un lungo percorso sonoro che costituisce probabilmente la summa dell’album.

Non è certamente un lavoro per palati poco avvezzi a certe sonorità, che vedono il sovrapporsi del suono house ad altri strati più complessi, creando un sistema di rimandi fra dub, minimal, industrial ed ambient. Per la verità si discosta anche parecchio dagli stilemi dell’etichetta inglese. Resta tuttavia un ascolto quasi obbligato per chi vuole capire in che direzione si potrà sviluppare la ricerca nell’ambito house nei prossimi tempi, vista soprattutto la notorietà che questo giovane artista sta attirando su di sé.

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