Il croato Petar Dundov alla seconda prova con l’album dopo il bell’esordio di “Escapements” sulla storica Music Man.
Anche per il secondo lungometraggio l’artista si affida a quella che sembra sia la sua famiglia e mette al mondo una fantastica creatura come “Ideas From The Pond”.
Un album innanzitutto concettuale, Dundov si cimenta con l’idea di soundtrack e sicuramente si ispira a grandi maestri italiani del passato avendo la sensibilità e la bravura di ripensare il tutto in una sorta di nuovo modello in bilico tra techno, progressive e trance.
In ogni brano l’artista promuove delle liriche basate sulla progressione del suono delle tastiere, un suono ampio, dilatato ed ossessivo che raggiunge alti livelli d’ipnotismo garantendo per altro una dose di groove ad alta densità emotiva. Per alcuni versi è palpabile anche un certo modo di rapportarsi a quella che è stata la musica dei corrieri cosmici, in special modo nei brani più ritmici. Faccio un esempio citandovi il secondo brano in scaletta: “Silent Visitor” che nelle pieghe cova un campionamento di “There’s a Woman di Gino Soccio”, forse il suo brano più bello spaziale. Qui naturalmente rielaborato e servito con una delicata cassa in quattro, bene proprio questo tipo di lavoro va a creare un estetica “kraut” molto efficace.
Sul lato puramente groovistico troviamo in terza posizione una bomba di assoluta magnificenza come “Distant Shores”, nient’altro che dodici minuti e trenta secondi di autentico viaggio nello spazio in un brano stellare destinato a far storia. Già uscito come singolo la scorsa estate ed ora con quotazioni molto alte. Inutile dirvi quanto la pista potrà ringraziarvi nel sentirvi lanciare una bomba di questa portata.
Dundov sceglie la strada della poesia, pensando il suo album come qualcosa di completo e magico, scrivendo quindi dei brani rigogliosi, pieni di suono, di armonia, di progressione e di ritmo, fregandosene alla grande di quello che va per la maggiore adesso, seguendo quindi la sua strada, una strada che lo ha portato a produrre sette brani coraggiosi ed assolutamente privi di qualsivoglia riferimento alla scena internazionale. I brani dance vi faranno letteralmente volare, mentre il resto sarà un succulento, ricco paradiso dove dedicarsi all’ascolto, in una verve ambient di quella bellezza un retrò alla quale per esempio ci aveva abituati uno come John Beltran, ma anche in questo caso nulla di troppo derivativo.
In coda un mostro da oltre quattordici minuti che risponde al nome di Tetra Float, un brano ambient con vibrazioni d’oriente perse nel suono dell’organo e nel rumore puro dell’elettronica.
E’ rincuorante constatare come alcuni ci credano ancora.