Non sono mai stato un fan di Matt Cutler, questo per via di quella fastidiosa alternanza tra i generi che in più di qualche occasione ha dato l’impressione di una faticosa rincorsa al voler essere al centro di un dato movimento. A dire il vero prima del “successo” è stato sempre uno di quelli a cui piaceva farsi i fatti proprio, senza lode e senza infamia mi viene da dire, in un album come “Ecstasy & Friends” possiamo ben dire che ha esposto anche idee pregevoli senza accostarsi troppo a nessuno. Il peccato è sopraggiunto dopo, in alcuni singoli urticanti che guarda caso lo hanno fatto lavorare più di quanto avrebbe mai creduto e che musicalmente lo hanno fatto diventare uno dei tanti.
Il bello in casi come questo è anche doversi ricredere. Lo faccio in occasione di questo nuovo album firmato con quello che è il suo marchio: Lone. Un disco il cui titolo viene ad offrirci la precisa chiave di lettura ed anche la descrizione più colorata possibile, Galaxy Garden, e la cui musica è uno spaccato culturale che non puoi saper raccontare senza aver avuto il fuoco dentro.
Lone ricrea, aggiornandolo in quella dimensione spaziale che, sì, gli appartiene, un apparato techno che fonda le radici nei novanta più ispirati e sognatori, anni che deve aver vissuto e sentito suoi, cogliendo nella techno quella sua anima soul più propensa al viaggio. Ora la suona scrivendo tappeti cosmici colorati di quelle tinte calde ereditate direttamente dalla stagione balearica inglese. Non saremo mai stanchi di quegli album techno intrisi di fantasticherie ambient che quel magico decennio ha saputo regalarci. Ci potrete trovare detriti di Boards Of Canada, tecnicismi Plaidiani, io sono più propenso ad accostarci il genio di Russ Gabriel o di Ian O’Brien.
Sono dodici i brani in scaletta nella versione cd, ed è apprezzabile anche la varietà di toni selezionati, includendo magici accordi di chitarra e percussioni caraibiche come nel brano di apertura “New Colour” un po’ il manifesto del disco stesso. In “Crystal Cavern 1991” fa ancora meglio, buttando dentro tutto un vissuto break che è la fotografia esatta dei caldi raggi di sole zona ibiza ’89. Un brano che fa largo uso di sintetizzatori mettendo sul piatto una musica grassa e funk come solo certa techno ha saputo mostrarsi.
Ancora un’istantanea in ibrido techno/house/break sulla visionaria “Dream Girl/Sky Surfer”, un arcobaleno tanto potente quanto accomodante.
La cosa a mio avviso più apprezzabile è senza dubbio il fatto di aver lavorato su un concetto, e dei più difficili, senza ricorrere mai a facili trovate dell’ultim’ora per aggraziarsi questa o quella testa.
Lone ha saputo guardare alla techno partendo da una base storica per trascinarla dentro un idea personale che riflette tanto un nostalgico attaccamento alla maglia quanto la voglia di voler dire la propria utilizzando un linguaggio fuori da ogni altra definizione serio.
La programmazione del ritmo è violenta nel suo cercare con forza la soluzione spezzata, una potenza che puoi sentire nel corpo con tutte le sue vibrazioni, un suono che ti scuote da dentro facendoti assaporare con divina assuefazione quei contrappunti paradisiaci che continuamente fuoriescono dalle sue tastiere.
Un suono cosmico e floreale che per complessità, poesia e visione saprà farvi innamorare.