Che il futuro dell’elettronica passasse per le mani di Shackleton si era già capito, quel che non era ancora chiaro è la velocità con la quale l’uomo sta facendo evolvere il suo linguaggio.
Un evoluzione senza freni, talmente sconvolgente che non può non essere naturale.
La Skull Disco è ormai soltanto un lontano ricordo, un essenza rimasta nell’aria a tenerci presente soltanto da dove viene, perchè la domanda che forse, oggi, tutti ci poniamo è senza dubbio dove diamine stai andando?!
Il 2009 è un anno importantissimo, perchè assistiamo al primo step di quel cambiamento che lo porterà poi a rivoluzionare la bass music e la techno. Parliamo di quell’album uscito su Perlon dal deviante titolo “Three Eps”. Un disco servito ad annullare ogni distanza tra generi che fino a quel momento si erano corteggiati ma mancavano ancora di quella passione incontrollata/bile che è l’amore.
E’ seguito poi un altro doppio vinile fondamentale come Fireworks, l’estetica dell’elettronica scolpita e lineare andava così accessoriandosi della sperimentazione, della commistione tra gli stili che in una qualche maniera ha anche ricondotto Shackleton ai suoi esordi. Un disco difficile quanto estremamente importante per partecipare agli sforzi dell’artista che con tutto se stesso ci ha introdotti ad una nuova esperienza d’ascolto.
Poi un triangolo magico: T++, Andy Stott ed ancora Shackleton. Uno sguardo intorno, vedere cosa manca, o meglio chiedersi: da dove veniamo? L’Africa.
Il ragionamento, suppongo, dev’esser stato per tutti lo stesso, proviamo a reinserire la scintilla primordiale nella nostra musica.
Shackleton in tutto questo è un autentico sciamano, un artista assolutamente geniale con la capacità di reinterpretare i segni che il tempo lascia sulla musica stessa per spedirla diritta dentro una nuova dimensione. Tutto il suo lavoro è concentrato nella scrittura di moderna folk music. Il suo è un istinto che parte dal terreno per trasferirsi al corpo nudo, e questo per quanto riguarda le fondamenta, poi avviene quella che può esser interpretata come una vera e propria vestizione, un processo che parte dallo studio della società odierna e diventa mezzo di trasporto. La sua musica è un conduttore, un veicolo che va oltre l’estetica (pur sempre curatissima) entrando nel corpo e nell’anima.
E’ sperimentazione funzionale, in Music For The Quiet Hour sono raccolti gli umori della società, la sintesi è soltanto strutturale, perchè i tagli sulle melodie e sui campionamenti non sono più marcati od estremamente riduzionisti come è successo in passato, nelle cinque parti che costituiscono questa meraviglia sonora le strumentazioni raccontano storie di territori con un solido passato ed un’autentica speranza nel futuro.
Le percussioni non sono mai state così vive, come i suoni del basso, dello xilofono, del pianoforte e di tutti gli altri strumenti riversati.
I “canti” come radici strappate alle zolle di terreno. Intatte rimangono le geometrie, intricate e vicine alla perfezione come la sua classe ci ha già saggiati, solo che ora questa caratteristica smette di essere marcata, per amalgamarsi in quello che è il cuore pulsante dell’album e della sua forma nuova, un motore afro-futuristico che sprigiona sentimento e bellezza.
Tutto si ripete, magicamente nel secondo cd “The Drawbar Organ Eps”, disco dove sono raccolte composizioni se vogliamo ancora più vicine ad un’umanità tangibile.
Eccola l’idea, una musica nuova.