E’ bene prestare la massima attenzione alle varie creature messe in opera dal romano Egisto Sopor, musicista in piena ascesa con i progetti Polysick e TheAway Team.
Qualcosa ancora, perchè intorno a questa laterale figura ci muoviamo ben oltre la musica, entrando a piè pari dentro un immaginario.
I vari pezzi del puzzle sono stati rivelati man mano, ricordo ancora quando ai tempi dell’uscita del primo Polysick, quello splendido album intitolato Meteo, avevo piena convinzione che si trattasse di una delle molteplici incarnazioni di Legowelt, i presupposti c’erano tutti vista la label, la segretezza e soprattutto la musica.
Ancor più sconvolgente fu la visione di uno strambo video su youtube intitolato “Coloratissimo Megabazar”, un rullo notturno siglato dal misterioso duo CADEO, che lascia intravedere la schermata di una “Telemilano2” degli anni ottanta che celava, persa in un mondo di colori, una sequenza elettronica da capogiro che ha mandato in crash più di qualche testa library.
Un video che ci ha condotti in un tempo dimenticato, ricollegandosi di nuovo alla memorabilia dell’artista romano anche abile videomaker dietro il progetto AAVV.
Come TheAway Team avevamo avuto un primo saggio in un album pubblicato nel 2010 e condiviso insieme ad un’altro incredibile musicista come Panabrite, uno split pubblicato dapprima su cassetta, poi in un limitato CD-r.
Una manciata di mesi or sono ecco invece arrivare il primo album ufficiale come TheAway Team, pubblicato in Giappone dall’interessantissima Moamoo, label con un’intrigante discografia che vede, tra gli altri, una riedizione in cd del capolavoro di Pub “Do You Ever Regret Pantomime?” compreso di un secondo cd con una registrazione live al Bunker di Köln del 2000.
Questo Star Kinship non è mai stato distribuito in Europa ma è ancora facilmente reperibile acquistandolo direttamente dalla label e credetemi, ne vale la pena, perchè parliamo di un superbo affresco di caleidoscopica dance music scritta da un artista lontano da mode e dinamiche, bensì perso in un mondo continuamente collegato al passato per rievocarne alcune meraviglie affrescandole di moderna visione e pura malinconia disco.
Star Kinship ci mette di fronte ad un corredo musicale che non avremmo potuto prevedere, un input proveniente dal luogo in cui tutto è nato, l’Africa.
Tutte le sezioni ritmiche infatti riportano ad un terreno battito tribale che segna un tempo molto più vicino all’uomo di quanto ogni moderna incarnazione del ritmo possa avvicinarci.
Il brano d’apertura, “Beyond The Sand Dunes”, è proprio un chiaro segno di ricongiunzione al territorio africano, un downtempo speziato dove i tamburi fanno la parte grande mentre la sublime melodia, i cinguettii ed altri vari versi ci conducono tra le foreste del continente.
“Caravan” ci introduce alla psichedelia con uno sfalsato groove in acido che muove instabile per un paio di minuti prima di trovare il sincrono con la cassa che esplode in un movimento house astratto e straniante, una figura che fa del suo apparire “fuori fuoco” il punto di forza.
“Lost Continent” torna a battere in profondità sui tamburi mostrandoci un disegno dalla forza espressiva notevole. Tutto intorno infatti sono cucite tutta una serie di memorie che riescono a restituirci una visione calda e fotorealistica della flora e della fauna africana, un brano ambient che assolve in pieno il suo compito principale, farci viaggiare con la mente.
“Viper” è potenza del basso ed astrazione dei synth, zero mezzi termini, zona magia.
Ed ecco di nuovo l’house, in un brano incredibile come “Zambesi Falls”, un carrello dub potentissimo montato sugli scrosci di una cascata, con la cassa ad agire nel fondale mentre sulle prime linee si muovono strane sguiscianti sonorità sorrette da raddoppi ritmici, e da un superbo groove con il funk a scorrere nelle vene.
“Waves for sunlight” mette in scia una serie di bagliori astrali, fantasticherie elettroniche che in qualche maniera mettono un po’ allo scoperto l’estetica elettronica dell’artista che in questo breve scorcio abbatte ogni differenza stilistica tra i suoi vari moniker.
“Twilight: Drums In The Forest” è un altra gemma preziosa che partendo dal consolidato mood tribale in chiave ambient si abbandona a certa psichedelia seventy con la chitarra a trainare la mente.
In coda tre brani che entrano nelle viscere con una metamorfosi che cerca pian piano l’oscurità partendo dal vellutato ritmo di “Sigi Tolo Rites” che piega in un finale analogico che risplende bellezza, poi entrando nei riverberi metallici di “The Path To The Stars” e chiudendo infine con le notturne volte drones di “Ocean Outpost”.
Un album magnifico.