Giunto al quarto album, l’americano Matthew Jeanes aka Larvae si incammina lungo un differente percorso stilistico.
Alcuni lo ricorderanno come un nome legato ad una scena per la verità poco fortunata, la cosiddetta illbient, che negli anni ’90 era riuscita ad aprirsi un varco degno di nota in alcune realtà discografiche e in certi club dei dintorni di New York.
Dico poco fortunata perchè, in effetti, il tempo ha velocemente messo da parte questi lavori ed il genere, nato come un amalgama poco chiara di hip hop, elettronica, dub e ambient, non ha saputo evolversi molto, soverchiato da una seconda corrente, questa invece molto più robusta, che prendeva in qualche modo spunto dalle stesse basi: il trip-hop.
Dopo un silenzio di diversi anni (l’ultimo lavoro era del 2008), ecco “Exit Strategy”: un percorso appunto differente, ma certamente non nuovo in senso assoluto. A farla da padrone, qui, sono le chitarre. Non c’è voce, non ci sono guest, non ci sono i classici bassi cupi e beat lenti tipici dei lavori precedenti.
Qualcuno la può chiamare post-rock, ma in effetti non è proprio tale: la componente elettronica è decisamente dominante e resta sempre in grossa parte legata ai suoni eterei e aperti della ambient.
L’intero disco è un mosaico introverso e solitario composto da dieci brani per una durata totale di 45 minuti. Si tratta di composizioni semplici, a volte scarne, ma molto introspettive ed emozionali, che cercano di prendere l’ascoltatore per mano in modo lento e delicato, trasportandolo in un vortice di ricordi, memorie offuscate, echi del passato. Anche se al primo ascolto appare anche troppo delicato, forse innocuo, si colgono vari momenti salienti che, comunque, con ascolti successivi danno al disco una sostanza ed un senso proprio.
Certo, il rischio di un disco che flirta con il post-rock più etero ed evanescente è grosso: a lungo andare si rischia di perdere un sound chiaro ed inequivocabile, fra l’indecisione di melodie sfumate e brani complessivamente sfuggenti; E’ come dire che giocando col fuoco si finisce per scottarsi. Anche se non è il caso di “Exit Strategy”, in qualche modo questo elemento si avverte bene.
Se non si può gridare al miracolo, ci si può per ora accontentare e comunque apprezzare lo scartamento che un artista sta volontariamente cercando rispetto ad un passato ormai concluso.