Intorno alla pubblicazione di quest’album è stata creata una corteccia mediatica che credo abbia distolto l’attenzione dal contenuto stesso dell’album. Lo stesso Tilliander ha lavorato d’astuzia sulla promozione pubblicando su youtube alcuni filmati nei quali si cimenta nell’utilizzo della vasta gamma di strumenti Roland in suo possesso. Video indubbiamente d’effetto che hanno chiamato a raccolta tutti i fan dell’analogico oltre alla nuova ondata di neo-fanatici che hanno preso a cuore la questione aiutando l’artista a spingere sull’acceleratore in vista della pubblicazione.
Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Andreas Tilliander nasce artisticamente sul finire dei ’90 mettendo piede in un’infinità di progetti che vanno dal rock/industrial al noise, glitch ed elettronica sperimentale. Vari gruppi, perlopiù coadiuvato da amici, poi un progetto personale che ad oggi è forse il suo più famoso, Mokira, con il quale esordisce proprio nel 2000 per la Raster-Noton. Un progetto molto importante ed apprezzato che ci regala ben sette album con label sempre prestigiose come la Mille Plateaux, la Type, la iDEAL e la Kontra-Musik. Parallelamente continua a portar avanti altri progetti e pubblicazioni con il nome di battesimo che in molti casi raggiungono territori techno ed house con una certa preferenza per l’estetica dub ed acid.
Ed è proprio per la Kontra-Musik, ottima etichetta svedese capitanata da Ulf Eriksson che prende vita questo nuovo progetto il cui nome e titolo corrispondono: TM404.
L’idea è quella di registrare tutti i brani dell’album in presa diretta, live, senza manipolazioni successive o layering pre-programmato, ed inoltre, farlo utilizzando una serie di macchine della Roland (casa alla quale questo omaggio è dedicato) che vanno dalla mitologica TB-303, alla 808 ed arrivare a quelle che forse sono le sigle meno chiacchierate della casa giapponese, ovvero la 606, la 202 e la 707. Altro dettaglio sul quale Tilliander lavora è la scelta del nome (404 è l’unica sigla che la Roland ha deciso di omettere nel nominare le proprie macchine perché la pronuncia in giapponese “chi” ha un suono che si accosta troppo alla parola morte, e negli ’80 era impensabile nominare qualcosa in quel modo) che sdogana in un modo un po supponente:
“At that time it was therefore taboo and the 404 was never launched. Not until now, due to my album!”
Quindi credo sia giunta l’ora di passare alla musica. Otto brani, i cui nomi sembrano lasciar intendere le macchine utilizzate per singolo brano, ma anche qui ho i miei dubbi, soprattutto in occasione del brano di chiusura che cita soltanto la Roland TB-303.
Comunque tutto ha inizio con le tetre atmosfere dub di “303/303/303/606”, un brano che si muove con moto sussultorio ed è spesso intervallato da insenature acidule ed interventi vaporosi, un ottima partenza, non c’è che dire. Il secondo scorcio “303/303/303/303/606” riprende dal serpente acido della 303 per accompagnarsi ad un ritmo delicato fatto perlopiù da piattini, una stesura all’inizio ferma ma che man mano lascia spazio a variazioni sul tono e ad un ritmo che aumenta d’intensità.
La TB-303 è l’unico strumento presente in tutti gli otto i brani, e forse è proprio questo il motivo di una certa staticità che, come vedremo poi, segna i difetti di questo disco che a parere di chi scrive non decolla come tutto lascerebbe intendere.
“202/303/303/303/606/606” ha un bel viso, acido nelle vene ed ottime sonorità “crespe” a contrastare la sinuosità delle curve. Al quarto brano entra in scena la mitica 808 e si sente. Il battito affonda, la tensione sale, l’aria diventa satura d’elettricità e quando parte di nuovo il serpente acido l’atmosfera diventa incendiaria nonostante i bpm rimangano molto bassi. Il miglior pezzo dell’album, senza dubbio.
“202/303/303/303/808” scorre liscia, fin troppo calma, alterna il suono di una batteria ad un ribollio mai incisivo e ad rumore elettrico che sembra soltanto un complemento d’arredo.
“202/202/303/303/606” al contrario del precedente tira fuori di nuovo il mordente, mandando in avanscoperta la 303 (in questo caso programmata alla grande) ed accoglie un flebile tremore che accompagna l’intero brano offrendoci questo netto contrasto tra primo e secondo piano che dimostra coraggio e creatività.
“303/303/303/303/808” è un perfetto brano dub che omaggia la scuola tedesca in maniera magistrale spingendo sulle basse frequenze e costruendo un’atmosfera pressurizzata in pieno stile basic-channel. In chiusura un brano ambient-dub con una serie di arpeggi che si ripetono ad oltranza, rumore di fondo ben amplificato ma poco pathos.
In definitiva manca quel traino melodico che poteva dare valore aggiunto all’album, un disco che in questa maniera riesce a non andare troppo oltre il tecnicismo (comunque di gran pregio) che, se da una parte è giustificato dalla completa lavorazione “live”, dall’altra non offre un prodotto completo, ma soffre anzi di una mancata progettualità e di un arrangiamento finale che avrebbe potuto donare maggior calore al tutto.