Daniele Antezza e Giovanni Conti trovano il loro sodalizio artistico in quel di Berlino, dopo aver lasciato la natia patria per cercare l’habitat ideale per i loro progetti e le loro idee. Il progetto Dabub diventa quindi un duo partendo da un primordiale scorcio pensato dal solo Daniele che vide luce nel 2009 con una release digitale per l’ottima aquietbump. I due artisti hanno un notevole background tecnico che continuano a coltivare e far evolvere in uno studio di mastering che coincide con le sorti di un altro grande artista: Luca Mortellaro, in arte Lucy.
Luca ha fondato una label, la Stroboscopic Artefact (anche lui ha lasciato l’Italia per lavorare al suo progetto in piena libertà) ed i due Dadub, oltre a produrre musica si occupano della masterizzazione di tutti i brani che la label da alle stampe.
La Stroboscopic nasce nel 2009 con un’attività sin da subito serrata, quattro release l’anno (un gran lavoro per una neonata label indipendente). Dobbiamo arrivare al 2011 per ascoltare il primo vinile con incisa la musica dei Dadub, è uno split Ep condiviso con l’argentino Pfirter e contiene un brano di undici minuti intitolato “Metropolis”. Fumosi spettri, cassa irregolare, rasoiate metalliche: annunciarono così la loro musica.
Anche il gusto muove nella direzione di un suono robusto, oscuro e sperimentale, nel podcast realizzato per la nostra webzine lo scorso anno troverete l’humus della loro forma mentis.
Passa un anno da quel debutto ed ecco un nuovo segnale, “Way To Moksha”. L’Ep conferma la qualità della musica, che continua a muoversi intorno al rumore bianco, allo studio della pressione sonora e del ritmo, parliamo si di techno ma con un approccio sperimentale, un lavoro che tende ad estremizzare il concetto stesso di fisicità legato al sorgivo filone detroitiano.
I groove vengono spinti al limite, spostando quindi l’attenzione non più sul legame con il corpo ma su quello con la mente, talmente estremo da porre dei limiti al corpo stesso. Un suono che cerca il formato dell’album, inutile girarci intorno. Le dinamiche, le potenzialità, il bisogno del tempo e dello spazio adeguati per esprimersi senza esser troppo vincolati.
Daniele e Giovanni lo sanno bene e raccolgono così una serie di idee, esperimenti e sensazioni in questo album di debutto che prende il titolo di You Are Eternity. Un titolo romantico, se volete anche malinconico, che rende però in tutto e per tutto la portata del pensiero espresso.
Partirei dalla prima piacevole novità, i suoni di alcuni brani dell’album corrono incontro ad una forma meno spigolosa, sembrano anzi cercare delle linee sinuose che ondeggiano fino ad immergersi, fino a diventare liquido stesso. E questo è udibile sin dal brano d’apertura, “Vibration”, che unisce astratte vibrazioni tribali a sonorità che evocano la materia liquida mescolandosi agli strati elettrici ed alla voce che parla di musica spirituale, amore e pace.
“Truth” si occupa del cielo, ricreando il vociare di un temporale ed ancora l’acqua, qui sotto le sembianze di pioggia, mentre un ritmo secco e metallico segna un tempo robotico cadenzato con una regolarità che crea ipnosi. I brani sono mixati tra di loro, una soluzione che permette al flusso di suonare come un unico corpo, come un’esecuzione live sulla quale andar a sperimentare e che credo possa replicare la forma delle loro future esibizioni lasciando intendere quanto queste abbiano ampio margine per la creatività.
“Life” è un lavoro certosino sul ritmo e sull’atmosfera, la programmazione è impeccabile e questo incedere sporco e sotterraneo ben si sposa con l’estetica stessa del brano, una sorta di techno da “foresta nera”. “Path” prosegue sulla scia del precedente, lavorando ancora sul ritmo che man mano emerge e rende più distinti i suoni degli elementi percussivi.
“Circle” vede la prima delle collaborazioni presenti nell’album, saranno in tutto tre. Qui ad emergere è il lavoro di Edit Select che spinge sull’acceleratore con una techno pressurizzata dall’incantevole progressione ritmica. Lo spazio diventa saturo, la struttura a strati tesse maglie fittissime, in cuffia è da tachicardia, regalategli un buon impianto per impazzire del tutto.
“Death” è un brano ambient che entra con una tempistica perfetta per riprender fiato dopo l’attacco sonico del precedente brano, qui gli spazi tornano a dilatarsi, i tappeti sonori (seppur sporchi e mai del tutto rassicuranti) si dispiegano alla ricerca dell’orizzonte, sul finale un groviglio di suoni che emerge dalle profondità destandoci dal momentaneo relax per introdurci al secondo dei features, quello con King Cannibal che in “Transfer” affonda sciabolate metalliche che fendono il terreno cercando maligne profondità. Un brano violento che ricorda la portata emotiva dei primi Vex’d in un contesto glaciale a la Biosphere.
“Birth” è potenza elettrica, il suono ruvido del collage sonoro incontra rumoristica e bassi graffianti che si susseguono a folle velocità.
“Unbroken Continuity” torna ad immergersi nelle acque “disegnando” un meraviglioso scenario subacqueo che permette alla mente di abbandonarsi totalmente al moto delle onde. “Experience” è l’ultimo dei feature in cartello, segnatevi il nome di Fabio Perletta (qui sotto pseudonimo Øe) perchè ci torneremo su presto, il brano emerge dall’acqua senza però prenderne le distanze, lasciando anzi l’ondeggiante mood sullo sfondo mentre in primo piano il lavoro è concentrato sulla lavorazione di micro suoni che erigono una barriera sonora scientifica quanto preziosa, che nella successiva “Existence” muta in una techno sciamanica che di nuovo si fa largo col macete tra la fitta vegetazione.
“Iridescent Fragment” sprigiona calore attraverso un brano ambient dai connotati struggenti e pieni d’emotività, che si esprime attraverso poche, infinite note, ed attraverso un crescendo di synth che evocano memorie new age liberando gli artisti stessi dal peso emotivo e dalla tensione di un album così complesso ed elaborato, un disco destinato a segnare questo nuovo anno.