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Rabih Beaini Albidaya

Rabih Beaini

I limiti sono soltanto nella mente di chi non osa, questo sembra essere il messaggio.
Perchè se guardiamo alla vita dell’artista che oggi tutti conoscono come Morphosis non possiamo non evidenziare quanto scelte del tutto impopolari ma istintive abbiano condotto l’uomo verso musiche difficili, scommesse perse (l’Elefante Rosso) ed ancora cambi di rotta sui quali magari non era lecito aspettarsi un riconoscimento così grande, ma che visto il livello di personalità, talento e passione, hanno contrariamente sedotto un pubblico vasto, un pubblico che si avvicina in maniera rispettosa ad idee nuove.

Non aveva mai pubblicato nulla con il suo nome di battesimo, però un primo segnale c’era stato, e con orgoglio lo riconosco in quei due meravigliosi podcast che ha siglato proprio per la nostra webzine. (Parte 1, Parte 2), firmandoli come Rabih Beaini.
Due Dj mix nei quali ha raccolto il testamento intimo dei suoni che hanno fatto da contorno, o se non da veri e propri ispiratori alla ragione techno che ora rappresenta. Tutto quel corollario di Jazz, Folk, Fusion, Hip Hop ed Avantgarde che lo hanno visto crescere sia dal punto di vista umano che musicale.
Chi considera “What Have We Learned” un semplice album techno non ha scavato in profondità, non si è lasciato suggestionare dalla potenza narrativa di un suono che è si, è vero, techno ma che viene scritto attraverso sapori melodici che provengono da tutti quegli stili sopraelencati.

Rabih mette quindi il suo nome in questo nuovo album intitolato Albidaya, pubblicato dalla label libanese Annihaya, un album che è una naturale personalizzazione del lavoro che da anni sta facendo con gli Upperground Orchestra, un enseble di jazz elettronico portato avanti insieme agli amici Piero Bittolo Bon, Alvise Seggi e Tommaso Cappellato.

Negli otto brani che compongono l’album (ora su Cd ma presto in vinile) veniamo condotti in un viaggio musicale che parte proprio dal Jazz, dalla sua anima più oscura, isolazionista e desertica per inerpicarsi verso lidi folk elettronici.
A collaborare con l’uomo sono sempre i suoi fidati amici ed eccellenti musicisti, Bittolo Bon e Cappellato, il tutto registrato a Berlino, tranne due piccole parentesi una detroitiana ed un’altra ancora romana.

Tutto avviene in una cornice deep dove elettronica, registrazioni, strumenti a fiato e percussioni danno vita ad un percorso intenso nel quale la vibra è data da quelle timbriche che ci fanno pensare all’Africa, alla terra dove tutto è nato, dove Rabih è tornato mentalmente per descriverci quello che ha dentro, quello che è stato il suo passato, i suoi antipodi.
Albidaya è proprio il termine arabo che indica il punto zero, l’inizio, le radici.

La musica è semplicemente una magia di strumenti come organo, clarinetto e sax presi nella propria essenza ed amalgamati a tappeti elettronici, registrazioni di suoni naturali, ed agli interventi percussivi di Tommaso Cappellato.
Non mancano sensazioni più forti che rimandano ad un passato cosmico come in “Taranta 3000” dove un mastodontico synth vortica all’infinito creando una suspense ipnotica di grandissimo livello.
O ancora veri e propri viaggi nel cosmo come nella bellissima “Song Of Extreme Happiness”, chissà di quale felicità parla, perchè la sensazione che si ha è quella di un viaggio nell’ignoto alla scoperta di qualcosa di nuovo, ed allora, forse, è proprio in questo la felicità, nel partire da un lido sicuro, dalle origini, per poi trovarsi a vagare alla ricerca di qualcosa che ancora non conosciamo.

Un disco che mi sento di consigliare a tutti, anche a quanti non sono dentro a vicende non del tutto popolari come questa, perché come ci dimostra Rabih, la bellezza è ovunque, anche in quei suoni nei quali non saremmo mai arrivati con le nostre gambe.
Il piacere della scoperta, il gusto di una musica profonda come la sua anima.