Arriva dalla grande mela questo interessantissimo disco che segna il debutto dei Dawn Of Midi, tre musicisti jazz che rispondono ai nomi di Aakaash Israni (basso), Amino Belyamani (pianoforte) e Qasim Naqvi (batteria e percussioni). No, non vi preoccupate, non vogliamo avventurarci nel Jazz per ostentare chissà quale conoscenza che non abbiamo, ma qui c’è dell’altro, c’è un progetto riuscitissimo che gli stessi artisti descrivono così in terza persona:
“They focus on creating a Minimal-Techno sound found in electronic music by only using acoustic instruments.”
Ecco allora l’album, Dysnomia, pubblicato per la storica Thirsty Ear, un album che in poco più di 45 minuti ci presenta un suono jazz notturno ed estremamente minimale, un suono nel quale ogni elemento è centellinato e millimetrizzato. C’è la misura in tutto, scale e ripetizioni precisissime, ripetizioni infinite che causano ipnosi, vibrazioni messe sotto controllo, progettualità. Un intento direi rispettato, perchè in taluni momenti si ha davvero l’impressione di partecipare ad un cerimoniale techno oscuro e primitivo. Gli strumenti acustici caratterizzano in maniera particolare l’estetica del sound di Dysnomia che sfoggia tribalismo grazie alle percussioni suonate in maniera impeccabile ed ha il giusto compromesso con sonorità più pungenti date dal piano suonato in maniera da far ben sentire le corde metalliche.
Se prendere ad esempio due brani come “Nix” e “Ymir” sarete così vinici alla techno minimale da non capir più bene chi o cosa è arrivato prima. E’ interessante notare come musicisti che finora hanno lavorato in contesti free jazz riescano ad elaborare temi quasi “matematici” ed integrarli con un suono oscuro, notturno e tagliente come questo.
Verrebbe da pensare a molte cose, al modello umano dei Kraftwerk, con le dovute distanze ovvio, ma qui abbiamo la trasposizione della macchina e del concetto stesso di uomo/macchina ad un livello terreno. O meglio, qui si cerca di estremizzare il rapporto tra musicista e strumento acustico per farlo somigliare in maniera impeccabile alla macchina. E’ come se gli umani stessero cercando una via per arrivare prima al futuro.
Altro parallelo potrebbe essere quello con i Moritz Von Oswald Trio, ma mentre i rinomati artisti si cimentano nella creazione di deep techno in qualche maniera “conosciuta” ed utilizzano i synth per scaldare il tutto, qui avviene l’opposto. Gli strumenti vengono pizzicati, si cerca una tensione che restituisce minimalismo, sembra di esser entrati in una stanza sterile dove il suono ti arriva freddo ma riesce a circondarti ed ipnotizzarti.
Ecco cosa dev’esser, secondo noi una recensione, qualcosa che conduca il pubblico alla conoscenza di un disco, raccontandolo cercando di far trasparire le emozioni che provoca a chi scrive e cercando di far intendere il tipo di suono che potete trovare al suo interno. Dico questo per prendere ulteriormente le distanze da chi venga a cercar il pelo nell’uovo di un genere che amiamo ma non conosciamo con la dovuta profondità. Ma la musica ci piace intenderla soprattutto come sentimento.
Per il momento il disco è stato pubblicato solo in formato cd ma dal loro sito internet sembra stia arrivando anche la versione in vinile. Stiano attenti quanti si prodigano nella stesura di lineup per i vari festival italiani, qui c’è da farci una bella scommessa.
I Dawn Of Midi ci insegnano che volendo le differenze possono assottigliarsi sino a scomparire, ci insegnano a varcare i confini, a far cadere barriere ottuse e godere semplicemente del suono.
E’ come se il Jazz e la Techno abbiano sempre vissuto sullo stesso parallelo.