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Ruby My Dear Form

Ruby My Dear - Form

Se conoscete a memoria i lavori di Venetian Snares, Bong Ra, Squarepusher, persino Aphex Twin, e praticamente tutta la produzione della Planet Mu, probabilmente rientrate in una delle due categorie con cui si può discernere le persone che si interessano alla breakcore e ai suoi derivati.
La prima categoria comprende coloro che, avendo abbondantemente pasteggiato con queste sonorità a tempo debito (parliamo del periodo a cavallo fra anni ’90 e 2000) ed avendo sentito i nuovi dischi prodotti in questo ambito, ritiene che dopotutto non ci sia più molto da dire e da fare su tale genere, perché si ricade sempre in una certa ripetizione. La seconda, invece, è costituita da coloro che ostinatamente si prodigano nella ricerca di nuove sorprese, appassionati dall’indubbia originalità e potenzialità che spesso – non sempre ahimè – caratterizzano le frange più sperimentali, più fusion-oriented, di questo tipo di musica. Repetita juvant, quindi.

Indipendentemente dalla vostra identificazione in una delle due (il sottoscritto, neanche a dirlo, si proietta nella seconda) siete caldamente invitati a dare una chance al disco in questione.
Ruby My Dear è il nome d’arte di Julien Chastagnol, produttore francese accolto tra le schiere della tedesca Ad Noiseam. Quello di cui parliamo è il secondo lavoro di Chastagnol per questa etichetta, che segue il precedente “Remains of Shapes to Come”: era comunque un buon lavoro, ma niente di più di un esercizio di stile.
Qui invece ci troviamo tra le mani una vera e propria sorpresa.
“Forms” infatti, oltre a richiamare in qualche modo un certo disco di Roni Size, non è l’ennesimo disco breakcore composto da centinaia di campioni mixati assieme a velocità tali e con tale violenza da risultare del tutto ininfluente.

L’impegno di questo artista è considerevole e lodevole. Parliamo di un disco complesso, stratificato e soprattutto, bilanciato nelle proprie componenti. La prima grande decisione che gioca a favore di “Forms”, d’altronde, è proprio quella di fare un buon uso delle dinamiche globali dei brani, dell’andamento del lavoro nel suo svolgersi: ai momenti più lirici e distesi si affiancano improvvisi accessi di furore ritmico, e si alternano continuamente, senza stancare mai l’ascoltatore, con una maestria che è giusto riconoscere e segnalare. Anche l’andamento dei bpm risente di questa scelta, passando dai 190 ai 70 senza difficoltà e giostrandosi in moltissime divisioni ritmiche anche irregolari, sulla scia degli insegnamenti Aaron Funk/Venetian Snares che ne fa larghissimo uso (forse anche un abuso).

Si tratta quindi di un lavoro organico e fluido, violento e raffinato allo stesso tempo, caratterizzato da una velata malinconia e da un tono autunnale, suggerito forse dalla bellissima copertina, dipinta da Marc Streichen. Fortemente consigliato.

È infine da segnalare, per il suo significato simbolico, il piccolo cameo di Igorrr nel brano “stax”: si tratta di un altro artista francese che già ha saputo mettersi in ottima luce grazie a tre lavori pubblicati sempre da Ad Noiseam, vicinissimo ai sound più estremi e sperimentali. Su questo piano, l’etichetta tedesca è sempre attenta a trovare nuove voci che meritano di essere ascoltate. In particolare per quanto riguarda la breakcore, l’industrial, e in generale la musica di ricerca, non sta sbagliando un colpo e si rivela come una delle poche realtà che, oggi, sono in grado di produrre musica di alta qualità all’interno di ambiti difficili come lo sono questi generi.

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