Di norma non si comincia una recensione parlando di quanto sia difficile tradurre in parole la materia di cui è fatto un disco, delle sensazioni che trasmette a me, recensore e di quelle che, potenzialmente, può suscitare in voi lettori. La questione è che Natura Morta, del nostrano Andrea Belfi, consente di affrontare una moltitudine di argomenti che interessano musica, arte figurativa, linguistica; trarre una sintesi che consenta di addentrarsi nell’opera rischia di privilegiarne uno piuttosto che un altro.
L’autore non abbisogna di troppe presentazioni: batterista nei Rosolina Mar, ancóra batterista e musicista elettroacustico da solo e in compagnia di numerosi e illustri colleghi (nel febbraio di questo stesso anno è uscita la seconda fatica del trio messo su insieme a David Grubbs e Stefano Pilia, Dust & Mirrors, su Blue Chopsticks); Belfi ha ripetutamente dimostrato di essere artista a tutto tondo e di possedere un registro espressivo di gran lunga sopra la media.
Natura Morta prosegue sulla strada già tracciata da prove come Knots e Wege (usciti rispettivamente su Die Schachtel e Room40), ma non si limita a calpestare lo stesso percorso, bensì lo allunga di un’altra, meravigliosa misura. Belfi riesce a rendere con efficacia un concetto sintetizzato dagli olandesi nel ‘600 col termine “stilleven” («vita silenziosa/quieta»): la rappresentazione pittorica di vari oggetti inanimati fra cui frutta, fiori o cacciagione, quella che in italiano chiamiamo appunto “natura morta”; ed è emblematico che a seconda dell’area linguistica cui guardiamo ci si riferisca alla medesima cosa usando due termini antitetici eppure così inevitabilmente legati, quali vita e morte. Dualismo che ritroviamo anche nello svolgersi dell’opera, strutturata su due esplorazioni distinte ma anche complementari: oggetti e forme, vuoto e linee rette, movimento e immobilità ne sono le ramificazioni. L’intelaiatura di ogni singolo brano è costituita da poliritmie cui si sommano, strato dopo strato, loop, tappeti sintetici ed elettroacustici: elementi fondanti dell’ormai collaudata estetica “belfiana”. La scelta dei suoni e la cura riposta nell’incastrarli trasmettono effettivamente l’idea di una natura morta, di un’opera artistica che il più delle volte ha significato dovizia di particolari ed espressione di perizia tecnica.
Il primo troncone dell’album si presenta arioso: Oggetti Creano Forme, Nel Vuoto, Roteano. L’elettronica accompagna il lento e ragionato incedere della batteria, diventando un tutt’uno con essa e tentando di assecondarne i movimenti; Nel Vuoto è un esempio brillante di questa simbiosi: distinguere nel flusso sonoro dove inizi/finisca la batteria è superfluo. Batteria che assume una forma, invece, nella seconda esplorazione: dapprima solenne, quasi sorda in Forme Creano Oggetti, facendosi metronomo in Linee Rette, quindi insofferente, spasmodica su Immobili.
La vita dietro le quinte della morte, l’apparente astrattismo dietro la compiutezza della natura. Andrea Belfi si conferma per sensibilità e padronanza del mezzo. Magistrale.