La mia ricerca intorno alla musica techno è orientata in questo momento a scandagliare gli sconfinati fondali della rete cercando di cogliere qualche segnale in grado ancora di stupire veramente, per spiegare meglio mi tornano utilissime le parole rilasciate da Laurent Garnier in una storica intervista di Damir Ivic per Soundwall:
“Vedi, oggi la qualità media è molto più alta. Prima ti arrivavano nell’ordine: merda, merda disgustosa, cose bellissime, e giusto un po’ di materiale “medio”, quello senza infamia senza lode. Oggi la merda e la merda disgustosa non ci sono più (o forse non me la mandano, boh…), però la quantità di materiale dalla qualità media è letteralmente esplosa, a scapito anche di quella bellissima.”
Tutto vero, vien quasi da sorridere quando ci si rende conto di questo. Però passiamo alle cose belle, a questo fulmine che mi ha trafitto e completamente abbattuto, l’album di LODSB per la Retort Records, label australiana di ottimo livello che ha all’attivo otto release interamente scaricabili in mp3 dal loro sito ed acquistabili in formato vinile.
Questo Helicon 1 è il secondo album per LODSB (artista del quale non si hanno maggiori informazioni) che segue a distanza di due anni l’esordio con Aero, sempre per la Retort.
L’album in questione è un’esperimento continuo intorno al battito della techno, con velocità che tornano con gran scioltezza intorno ai 140 bpm (velocità che quasi tutti i produttori techno attuali hanno paura di affrontare) mantenendo vive le dinamiche funk che la natia Detroit ha trasmesso negli anni.
Parlo di esperimento perché a tutti gli effetti quello che abbiamo di fronte è un album multi-livello nel quale prende forma tutta una magia cinematica messa su con sistemi di synths modulari, quel che torna, nell’atto pratico, è musica accostabile tanto all’elettronica inglese di gente come Plaid od Autechre, quanto a feticci sintetici di casa DiN o alla complessità di Richard Devine, il tutto trasposto in una dimensione dance che è un vero e proprio scrigno pieno di meraviglie.
I brani, cinque, sono tutti molto lunghi e partono con i grovigli groovistici di Sylt, qualcosa come Jeff Mills che prende casa su Plutone, un brano techno rigoglioso nel quale l’artista riversa una quantità di suoni ed umori felicemente incastrati in un corpo plastico da far spavento.
Usedom parte con una pulsazione in controtempo per incontrare poi un carrello ritmico lento e primitivo che conferisce un’anima afro-futurista al brano, che esplode poi in una suite notturna che ricorda i primi lavori di Portable.
Pellworm lascia evaporare punte d’acido su un assetto ritmico minimale in 4/4 circondato da pareti di pads e da riverberi metallici in dissolvenza. L’ho già detto? La linea di basso può uccidere.
Föhr è un brano techno assassino, una cassa che sprofonda nelle viscere della terra mentre tutto intorno si combatte con acidi e spranghe, trovatemi qualcosa di più bello e devastante. Rügen appicca il fuoco sui dodici minuti finali cambiando più volte linguaggio lungo la stesura che ha il dub nell’anima e la techno nel corpo.
LODSB compie un lavoro di sound design in cui le texture vengono composte meticolosamente e con gran sapienza, mescolando il tutto con un ritmo dance che stupisce per fisicità. Parliamo di un album che colpisce nell’immediato e continua a rilasciare bellezza ascolto dopo ascolto, qualità che in ambito techno si materializza ormai raramente. I package della label sono sempre curatissimi, la bella illustrazione di copertina è realizzata da Sophia Sobers e fa parte della serie Organic Cities. Ne esistono soltanto 300 copie, sarebbe veramente un peccato lasciarvi sfuggire la vostra.